L’Imagna, solcata dal medesimo torrente, è una valle delle prealpi orobiche che confluisce nella più grande Valle Brembana: è composta da una quindicina di comuni, la maggior parte dei quali situati tra i 500 e i 700 metri di altezza, dunque a una quota che permette l’attività agricola e l’allevamento del bestiame. Da qui parte la nostra storia, quella della famiglia Rota, “bergamini” che da Rota Imagna e Brumano hanno condotto le vacche da latte nel Lodigiano fino alla prima metà del Novecento: partenza in autunno dalla valle, una volta discesi dagli alpeggi dove si trascorreva l’estate, e ritorno in valle in primavera, per poi risalire in quota e passare l’estate successiva.
Nel mezzo i lunghi mesi invernali, trascorsi in pianura lontani dalle famiglie e senza particolari collegamenti con le terre d’origine, lavorando il latte per farne stracchini e vendendo quello in eccesso. Si trovava ospitalità - e foraggio per gli animali - presso gli agricoltori di pianura e, sovente, dalle nostre parti si trovava anche l’amore, tanto che molti bergamini sono poi divenuti stanziali, abbandonando la Bergamasca per metter su famiglia a quote decisamente più basse. Si spiega così, nel nostro territorio, la presenza di numerosi cognomi che si ritrovano anche in quota, in Val Seriana, in Val Brembana e in Valle Imagna: i Carminati, i Cattaneo, gli Arioli, i Barbaglio… e l’elenco potrebbe continuare. E i Rota.
Angelo Emilio Rota, 76 anni e una memoria di ferro nonostante gli acciacchi del tempo, si ascolta con grande piacere. E’ nato alle Sacchelle di Borgo San Giovanni, ma in lui scorre sangue bergamasco, anzi della Valle Imagna. Ha trascorso la sua vita in pianura ma nella conversazione che ci concede per il tramite della nipote Elena, trasmette tutto il suo amore per la montagna e per i luoghi di origine della sua famiglia. Tanto che alla fine del nostro incontro chiude segnalando come sia un Rota, “ma del ceppo dei Batì”, a indicare il soprannome che i suoi avi portavano in Valle Imagna. L’ampia diffusione del cognome Rota, in valle, imponeva dunque una sotto classificazione, diciamo così, fatta sul campo.
Erano dunque i Rota, quelli dei Batì, a scendere in pianura con le mucche, trovando ospitalità dietro pagamento nei paesi agricoli che attorniavano Sant’Angelo. Una vita dura, certamente, quella dei bergamini, che ha segnato un’epoca.
Noi proviamo a ricostruirla, tornando indietro di quattro generazioni. Partiamo da Rota Imagna e Brumano, da Giovanni Angelo Rota, che in Valle Imagna era allevatore, proprietario di case, boschi e pascolo, proprietà che poi si sono diluite nei successivi passaggi generazionali.
Il figlio di Giovanni Angelo Rota si chiama Giosuè e, come il padre, in inverno porta le vacche dalla Valle Imagna alla pianura. In particolare, e qui iniziamo ad avere elementi certi dal punto di vista geografico, arriva nel Lodigiano ospitato da allevatori e agricoltori in diverse località, tra le altre Lodi Vecchio e Bargano. Tanto che a un certo punto acquista direttamente una cascina, tra Lodi Vecchio e Tavazzano, nella zona delle “slaschine”. Ha una trentina d’anni, sposa Carolina Boriotti di Borgo San Giovanni e dal matrimonio nascono due figli: Giovanni (nato nel 1910 a Bargano) e Lucia.
Siamo però alla vigilia della Prima guerra mondiale, evento che segnerà uno spartiacque per la famiglia Rota. Giosuè Rota, che nel frattempo aveva abbandonato la montagna per diventare lodigiano, parte per la guerra e muore nel 1917 in combattimento: è sepolto a Palmanova ma la sua foto compare tra le vittime di guerra anche a Brumano.
Carolina Boriotti, vedova, si ritrova con due figli piccoli a cui badare. La cascina finisce in vendita. Li ritroviamo alle Sacchelle di Borgo San Giovanni. Giovanni, il figlio maggiore, imparerà la professione del falegname e avvierà un laboratorio, prima a Borgo, poi in società con il cognato a Sant’Angelo Lodigiano, al Pescherone e successivamente in viale Zara.
Seguiamo Giovanni, che sposa Maria Cipolla di Dovera (in famiglia me la presentano come la “cremasca”): dal matrimonio nascono Gesuina, Ernesto e Angelo Emilio, il nostro Cicerone. “Da bambini, dopo la scuola, nel periodo dell’estate, andavano a Brumano - racconta quest’ultimo - è per questo che parlo ancora un po’ bergamasco e mantengo vivissimi ricordi della Valle Imagna”. E la transumanza? “Per scendere dalle valli ci volevano giorni, era un lavoro duro, in famiglia si diceva che nonno Giosuè fosse l’unico in grado di atterrare un toro prendendolo per le corna”. Cosa rimane oggi di quella tradizione? “A Rota Imagna ho ancora parenti, seconde cugine - risponde Angelo Emilio -, a Brumano un primo cugino, Giovanni Rota, ha quasi cento anni e a lungo ha gestito un bar in paese”. Sembra quasi di vederli, grazie ai racconti della nostra guida, i bergamini che dalla Valle Imagna scendevano in pianura con le vacche da latte, gli asini, i cani pastore, pochi effetti personali facili da trasportare, nessun lusso. Niente Grana padano, con quel latte si produceva stracchino e si restava nelle terre basse fino a quando, superato l’inverno, era tempo di tornare in quota, negli alpeggi. Di stagione in stagione, di anno in anno, di generazione in generazione: dietro alcuni dei cognomi diffusi nel Lodigiano ci sono queste storie. Vale la pena di conservarle.
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