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Giornata degli internati militari della Seconda Guerra mondiale

Giuseppe Danova è stato insignito della medaglia d’onore alla memoria, un ricordo della figlia Pinuccia

di Pinuccia Danova

Sabato 20 settembre, presso il Salone di Rappresentanza della Prefettura di Lodi, alla presenza del Prefetto Davide Garra, delle Autorità civili e religiose nonché delle rappresentanze di alcune Associazioni militari, fra cui l’ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati), nell’ambito delle celebrazioni per la “Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda Guerra mondiale”, sono stati insigniti della medaglia d’onore alla memoria Giuseppe Dadda e Giuseppe Danova, mio padre.
Classe 1910, era un soldato semplice, un artigliere formato alla Scuola di Artiglieria e Genio nel periodo del servizio militare di leva dal 1931 al 1932. Richiamato alle armi nel 1942, venne assegnato al IV Reggimento Artiglieri d’Armata a Piacenza come effettivo della Compagnia di Artificieri. A Piacenza, il 9 settembre del 1943, giorno successivo all’armistizio, venne catturato dai tedeschi insieme al proprio reparto.
Caricato con i suoi commilitoni su un treno merci, venne portato in Germania. Lo stalag II B di Hammerstein, 26 settembre/inizi di ottobre 1943, fu solo un punto di transito, poi venne trasferito nello stalag II C di Greifsward dove rimase internato dal 14 ottobre 1943 fino al momento della liberazione avvenuta il 14 aprile 1945 ad opera dei Russi.
L’enorme campo di prigionia tedesco di Greifsward in Pomerania, storica regione meridionale del Baltico, era situato vicino a Peenemünde, un grosso sito di sperimentazione e sviluppo missilistico. Parte degli internati era distribuita in Arbeitskommandos (distaccamenti di lavoro) occupati soprattutto in varie aziende belliche e nelle fattorie. Mio padre ricordava spesso l’isola di Rügen, dove probabilmente era stato destinato (in fattoria?).
Come altri internati, non ha mai parlato diffusamente della sua deportazione in Germania, solo qualche cenno alla Pomerania e all’ isola di Rügen di cui aveva tenuto uno specchio come ricordo. Solo a partire dal 2021, attraverso una ricerca non sempre facile dei documenti, è stato possibile ricostruire in dettaglio la sua vicenda. Ritenevo dapprima che quanto avevo trovato dovesse soddisfare il mio desiderio di far luce su una parte della vita di mio padre sempre così sfuggente così vagamente accennata, ma mi è parso opportuno, in ultima analisi, renderla pubblica perché anche il suo sacrificio e la sua scelta fossero riconosciuti. Non eroe, ma uno dei milioni di individui che, pur amando la pace, la giustizia, la solidarietà, vengono travolti dalla follia della guerra e ai quali, come a insignificanti pedine, vengono chiesti anni, lacerazioni di affetti e spesso la vita; pedine che però sanno anche operare scelte fondamentali.

Mio padre, con il suo bagaglio di sofferenze, poté ritornare in Italia nel settembre del 1945, ma il suo rientro non fu facile: innanzitutto esperienze simili unite alla lontananza cambiano le persone e rendono più problematici i rapporti con gli altri in secondo luogo, come nel suo caso, le mutate condizioni economiche del dopoguerra con la chiusura di molte fabbriche lo avevano privato del lavoro. Da operaio si è inventato “tilè”, venditore ambulante, anche se il commercio non era nelle sue corde.
Al momento della cattura, soldato di un esercito lasciato a se stesso dopo l’armistizio, avrebbe potuto scegliere di arruolarsi con i tedeschi o di aderire alla Repubblica di Salò, ma preferì l’incognita della deportazione ad un regime sotto il quale non voleva più vivere e per la cui sopravvivenza si rifiutava di combattere.




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Giuseppe Danova