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Il dramma di papà Gianpietro e una speranza per i giovani

Con la ricorrenza di S. Luigi la testimonianza della Fondazione Pesciolinorosso nel teatro dell’oratorio

di Matteo Fratti

PÈ con gli eventi per la ricorrenza di S. Luigi e l’oratorio in festa, che nella seconda metà dello scorso giugno l’occasione si fa propizia per una riflessione condivisa sulla speranza, ad accogliere nella serata di mercoledì 18 il gradito ritorno di Gianpietro Ghidini, un padre che, dopo la morte del figlio, ha raccolto le forze per portare in giro la sua testimonianza ai giovani su tematiche che, dalla perdita di alcuni valori alle dipendenze, diventa sempre più urgente affrontare nella nostra società.
La sua vicenda ha dato origine alla Fondazione “Ema Pesciolinorosso”, con sede nel paese bresciano di Gavardo, rispondendo progressivamente e in modo più assiduo all’esigenza di un confronto sul vero senso della vita tra giovani e adulti, rispetto ad un’alleanza educativa che pare andare oggi nella direzione sbagliata, allorché viepiù si confonda la felicità con le cose materiali. È a scanso di equivoci allora che l’introduzione di Don Nicola ci presenta un ospite che, pur nella carica emotiva del suo vissuto, ci replica la piacevolezza di un incontro già avvenuto qui qualche anno fa, nella consapevolezza di una missione inarrestabile all’indomani di un dramma personale, trasformato, però, in speranza collettiva. Come invita a fare l’attuale Anno giubilare infatti, così le parole forti di “papà Gianpietro” negli innumerevoli incontri coi ragazzi in tutta Italia (ormai oltre duemila) a raccontarci di come la sofferenza non diventi una resa, ma speranza, quando si traduca ad operare per gli altri, facendo morire intanto, quello sì: - “.. la parte peggiore di sé”- . Lo annuncia in questo modo il nostro relatore, che inizia il suo dialogo constatando che il pubblico è ancora troppe volte declinato “al femminile” – e nota: - “mentre sarebbe importante che ci fossero i papà” -. Con ciò, una riflessione che parte da considerazioni individuali, per entrare nel dunque di un suo mettersi a nudo, a farci comprendere reciprocamente un dramma non solo personale. Entra così nel cuore dei fatti, Gianpietro, padre del giovane Emanuele troppo prematuramente scomparso e di altre due figlie più grandi, Alessandra e Giulia, raccontandoci della sua carriera manageriale per diverse società e di come la sua vita gli apparisse un contesto positivo, prima che proprio Emanuele se ne andasse a soli 16 anni, gettandosi nel fiume vicino a casa, per uno stato alterato da una droga sintetica. Scaturisce da lì la sua riflessione sulla “felicità”, per cui i figli non ci amano di più se hanno più cose, ma quando si lascia spazio al dialogo e all’ascolto, per una serenità che non mente alla voce interiore. Una gioia alla portata di tutti, ma di cui ci accorgiamo solo quando la perdiamo. E l’ammissione di papà Gianpietro: una crisi familiare e l’allontanamento da casa, ma pur nel distacco, quella comprensione di amare la moglie e i figli; nel mentre che “Ema” frequenta ragazzi più grandi di lui e papà gli accorda fiducia, senza controllo. “Quando il 23 novembre del 2013 andai a casa a pranzo” – dice però Gianpietro – “Emanuele non si alza, non mi abbraccia come sempre” - Poteva essere un punto di contatto, ma il tempo di un appuntamento di lavoro fa rimandare un dialogo che non si potrà più replicare. L’indomani alle 13, Emanuele verrà ripescato dal fiume dove si è buttato la notte precedente, mentalmente sconvolto da una sostanza. Papà Gianpietro così ci confessa, di fronte alla tragedia nel punto in cui era caduto il figlio quel mattino, dell’idea di una vita a rotoli e la perdita di senso, di voler lanciarsi a cercarlo, trovarlo o morire. Ma il ricordo va anche alla torrida estate del 2003, quando Ema aveva 6 anni e un pesciolino dello stagno boccheggiava mezzo morto: da lì l’accordo di liberarlo proprio in quel punto del fiume, dove aveva ripreso vita salvo poi esser mangiato da un’anatra! L’episodio aveva fatto ridere Gianpietro, mentre Ema piangeva arrabbiatissimo e l’aneddoto è la rivelazione del nome dietro alla “Fondazione pesciolinorosso”, attraverso cui papà Gianpietro rielabora un messaggio che è per la vita, e anche sulle lacrime ci insegna a crescere, e rinascere dai momenti difficili. La luce di speranza si fa allora missione, per portare la propria storia in giro, nella condivisione di un messaggio che invita a riflettere, riscoprire la gioia di vivere e la bellezza delle relazioni: trovare un senso è sempre possibile, quando si possa cambiare anche una sola persona, attraverso i valori che ci rendono migliori. Uno slancio, per poter capire che, nel senso della vita, anche un dramma può diventare speranza.

PASSONI SENNA INOX AVIS C.F.I. 62