La Seconda guerra d’indipendenza (27 aprile – 12 luglio 1859) fu voluta, cercata; una guerra che tutti metteva d’accordo, fuorché Mazzini che dal suo esilio dorato tuonò: «La libertà non si conquista con gli aiuti stranieri!». Non aveva tutti i torti!
Dopo la batosta del ’48, conclusosi con la sconfitta dell’Armata sarda, alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento il vento era cambiato, l’umore dei patrioti era alto: a decine di migliaia volevano combattere con i Savoia per unificare la Penisola. Provenivano da tutta Italia: dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Toscana, dall’Emilia, dall’Umbria, finanche dal meridione.
Ecco i fatti: il 19 aprile, Cavour ricevette l’ultimatum dell’Imperatore d’Austria per un disarmo immediato del Piemonte, il congedo dei volontari arruolati e la rottura dell’alleanza con i francesi.
Il Conte non se ne curò!
Il 27 aprile accadde il casus belli: si sollevarono Massa e Carrara, seguite da Firenze; Leopoldo Asburgo-Lorena abbandonò così la Toscana e il Governo provvisorio chiese l’immediata annessione al Regno di Sardegna. Due giorni dopo, il 29, gli austriaci scesero in Val Padana, allarmati dalla situazione; contemporaneamente i francesi, armati, valicano il Moncenisio per unirsi ai piemontesi: la Seconda Guerra d’Indipendenza dell’Italia entra nel vivo.
In poco più d’un mese (questa sì una vera guerra lampo) si ebbero: la vittoria di Magenta, la ritirata degli austriaci, la conquista di Milano, le battaglie di Solferino e San Martino e, l’11 luglio, la firma dell’armistizio di Villafranca con la cessione della Lombardia (senza Mantova e Peschiera) alla Francia, perché quest’ultima la cedesse, a sua volta, al Piemonte (fatto che causò le dimissioni di Cavour, subito rientrate). La Seconda Guerra d’Indipendenza è vinta!
Nel frattempo, i ducati di Parma-Piacenza e Modena-Reggio decisero di annettersi al Piemonte.
Il 24 marzo 1860, a seguito del passaggio di Nizza e della Savoia alla Francia, requisito chiesto da quest’ultima per la cessione della Lombardia al Piemonte, un Garibaldi furibondo con Cavour per la perdita della sua città nativa decise di avviare l’impresa dei Mille, i quali, in camicia rossa, sbarcarono in Sicilia l’11 marzo per scacciare i Borboni.
Il Generale, con un’azione fulminea (11 maggio – 7 settembre 1860), prese Palermo, tutta la Sicilia, superò lo Stretto di Messina, irruppe in Calabria, fece sua la Basilicata, la Puglia e infine Napoli.
Cavour, inferocito, fece buon viso a cattivo gioco e mandò le truppe piemontesi a occupare l’Umbria e le Marche (ma non Roma) e le annetté. E con il 26 ottobre, data in cui ci fu l’incontro a Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele, l’Italia è fatta!
Il 17 marzo 1861, si riunì a Torino il primo Parlamento italiano e fu proclamato il Regno d’Italia, senza il Veneto, il Trentino e Roma. La legge che sanzionava la nascita del Regno d’Italia si componeva di un unico articolo, così concepito: «Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di Re d’Italia». Non mera forma, ma forma che è sostanza: il Piemonte si annette gli Stati preunitari.
E a Sant’Angelo, in questo periodo, cosa succede?
A inizio giugno 1859, in Sant’Angelo, dopo l’avanzata dei piemontesi, supportati dai francesi, si registrarono movimenti di truppe austriache: Bùsaroche venne fatto evacuare, la Masaia venne occupata dai cannoni dell’artiglieria asburgica e in Villa Cortese prese alloggiamento il feldmaresciallo austriaco Conte Linchtstein con il suo stato maggiore, alle cui dipendenze vi era un intero corpo d’armata. Le cronache dell’epoca ci raccontano, inoltre, che gli abitanti della Costa (i più rivoluzionari di sempre) fecero incetta di sasi de risa da gettare contro gli austriaci, del cui utilizzo non ci fu bisogno: a Sant’Angelo non ci fu nessuna battaglia, diversamente dalla vicina Melegnano. Meglio così!
Unita la Lombardia al Piemonte, il primo sindaco di Sant’Angelo fu Raimondo Pandini (massone e anticlericale), appoggiato dai conti Bolognini e dai preti liberali (Mons. Pietro Orsi, don Probo Rozza e don Bartolo Cagnoni) schierati con l’impresa di Garibaldi e d’accordo con l’occupazione di Roma. La parte antagonista era capeggiata, dopo un’inversione a U, dall’ingegner Rozza (che partecipò nel 1848 alle Cinque giornate di Milano) e composta dai sacerdoti fedeli al Papa, guidati dall’arcigno Prevosto, Monsignor Bassano Dedé, supportato dal coadiutore, il santangiolino don Domenico Savaré, il quale, nel 1859, fu cappellano delle truppe franco-piemontesi nella battaglia di Solferino e San Martino.
Il 19 aprile 1862 (un giovedì) fu una data storica per Sant’Angelo: si registrò il passaggio dell’Eroe dei due mondi, accolto da festanti grida, ma con il portone della chiesa prepositurale serrato, in segno di protesta. Il Generale ebbe, comunque, di Sant’Angelo un caro ricordo, confidato a Benedetto Cairoli, che ne scrisse in una riservata personale al sindaco Pandini.
Questi i fatti del periodo accaduti in paese.
Ma i santangiolini fecero altro: molti combatterono nelle campagne militari, dal 1859 al 1861, dallo scoppio della Seconda guerra d’indipendenza alla proclamazione del Regno d’Italia.
Qui sotto trovate l’elenco.
Sono certamente da evidenziare i nomi del Tenente Angelo Segala, appartenente al 5° Reggimento Bersaglieri, il quale, nella battaglia di Treponti (che ebbe luogo il 15 giugno 1859 nel comune di Rezzato, alle porte di Brescia, quando Giuseppe Garibaldi, al comando dei Cacciatori delle Alpi, agganciò la retroguardia austriaca, in ritirata verso le fortezze del Quadrilatero) venne ferito e insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare (il suo nome è inciso sul monumento ai “Padri della Patria” di Viale dei Partigiani, incastonato nelle mura spagnole) e del Caporale Rigoni Bernardo, il quale, per l’ardito comportamento nella Battaglia di Palestro (che ebbe luogo il 31 maggio 1859, nel piccolo comune in provincia di Pavia, e che fu vinta dall’Armata sarda) ottenne una Menzione Onorevole. Rigoni, dagli atti dell’archivio della Società Solferino e San Martino, risulta il santangiolino che combatté, nel Corpo dei Bersaglieri, in più campagne militari: oltre a quelle tra il 1859 e il 1861, in Italia, anche quella del 1855-56 in Crimea (quest’ultimo dato va verificato, ma se così fosse ci troveremmo davanti a un vero eroe).
(La prima parte è stata pubblicata sul numero di aprile 2025).