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EDITORIALE

Cosa ci insegna la storia di Giovanna

Ci siamo interrogati a lungo sull’opportunità di scrivere, a distanza ormai di alcune settimane, della tragica vicenda che ha coinvolto una nostra concittadina molto conosciuta e apprezzata, Giovanna Pedretti. Alla fine ci siamo detti che sarebbe stato opportuno dedicare qualche riga in prima pagina a quanto avvenuto, per ricordare una persona che si è spesa per la comunità e per provare a guardare un poco più in là, ragionando su quanto possono essere pericolosi i social media se utilizzati, magari anche inconsciamente, per fare del male.
Scriviamo in punta di penna, con molta umiltà e anche con un po’ di senso di inadeguatezza di fronte a una vicenda di così ampie dimensioni. E lo facciamo oggi che l’eco mediatico nazionale si è spento e quanto accaduto è tornato a essere una vicenda locale, che ha scosso la nostra comunità.
Per prima cosa tributiamo il giusto ricordo a Giovanna che, lo abbiamo riscontrato nei giorni più duri, era davvero benvoluta nella nostra città. Il bene al prossimo si fa e non si dice, solitamente, in questo caso però è doveroso sottolineare come le tantissime dimostrazioni di affetto e di vicinanza hanno basi solide, rintracciabili nelle attività di beneficenza che la nostra concittadina ha portato avanti, pensiamo all’impegno, tra gli altri, al fianco dell’oratorio e dei ragazzi disabili.
La riflessione più amara e forse la vera ragione per cui abbiamo deciso di dedicare spazio a quanto accaduto lo scorso gennaio attiene però all’utilizzo distorto dei social network. Ci siamo resi conto, in maniera plastica e purtroppo solo a causa di un tragico evento, di come quello che sembrerebbe un territorio aperto alla libertà possa trasformarsi in un ambiente tossico, in grado di fare molto male.
Ci interroghiamo spesso su come i social network possano influire sulla crescita dei nostri ragazzi, in questo caso occorre però prendere atto di come siano stati gli adulti a usare in maniera distorta, violenta e senza scrupoli questo strumento, riversando odio su una persona e su una storia, ingigantita dai media nazionali, decisamente più grossa rispetto ai nostri piccoli confini cittadini.
Quanto accaduto ci obbliga a riflettere sulla pericolosità dei nostri gesti in un ambiente, quello dei social, spesso spersonalizzato e dove tutto avviene velocemente. Si viene fagocitati e usati nell’arco di poche ore, di pochi giorni, salvo essere espulsi e dimenticati quando non facciamo più notizia. È successo nel caso di Sant’Angelo, dove purtroppo l’epilogo è stato tragico, succede ogni giorno in tanti altri casi che fortunatamente si risolvono in maniera meno drammatica.
L’uso consapevole dei social, la buona educazione su Facebook e piattaforme simili, le responsabilità penali per quanto si scrive anche attraverso un telefonino sono elementi centrali, che si impongono alla nostra attenzione, sui quali ragionare con grande senso di responsabilità, affinché questa terribile vicenda lasci una traccia e non si vada ad aggiungere alle tante, troppe storie di cronaca nera.
La nostra comunità esce frastornata, arrabbiata e smarrita da una tragedia che ha assunto dimensioni inaspettate. Ma, speriamo, un po’ più consapevole che ogni nostro gesto, anche sui social, può avere conseguenze non controllabili. Rimettiamo al centro il rispetto e le relazioni sane e genuine. Solo così potremo dire che quei terribili giorni di gennaio hanno lasciato almeno una flebile traccia di speranza.