La Costa, la via dei Tupén
Orgoglio santangiolino

di Emanuele Maestri


La necessità di ricordare il nostro passato è essenziale, perché ci dà certezza di essere qualcuno, di avere una storia, di essere quel che siamo perché alle spalle abbiamo degli avi che hanno lavorato, lavorato e sudato per un futuro migliore, gettando le basi per la libertà, per il riscatto dalla miseria, per il benessere.
E questo ci rende orgogliosi: orgogliosi dei nostri “vecchi”, orgogliosi di essere santangiolini.
Orgogliosi perché Sant’Angelo è il nostro Paese, con la “P” maiuscola, perché è la nostra piccola e prima patria.
Io amo il mio Paese. Amo Sant’Angelo, amo i santangiolini. Amo la bellezza paesaggistica, artistica della borgata. Amo la sua storia millenaria. Amo tutto ciò che rimanda alla santangiolinità. Amo il nostro particolarismo, perché è stato ed è la nostra forza, perché ci ha resi unici in tutto il Lodigiano e oserei dire in tutta la bassa Lombardia. Amo e non mi vergogno. Amo e so che ci sono difetti e problemi che vanno risolti; cosciente di ciò, amo.
Sono orgoglioso: orgoglioso di essere santangiolino perché i santangiolini sono unici anche quando sono eccessivi nel linguaggio e negli atteggiamenti, con quel dialetto così musicale; unici anche quando hanno sempre la risposta pronta, anche alla domanda più difficile; unici anche quando con un aggettivo sanno descrivere quello che altri farebbero utilizzando interi periodi; unici anche quando trasformano una parolaccia in un complimento; unici anche quando, sebbene tanto padani, in fondo, nei comportamenti, sono così simili ai napoletani; unici anche quando non hanno paura di niente, nel commercio e nella vita, e sanno ridere delle cose tristi, financo della morte; unici anche quando il loro stadio si trasforma in un teatro comico; unici anche quando con i cavalli, prima, con i camion e i furgoni, poi, si sono fatti conoscere un po’ in tutta Italia come ambulanti, con animo da mercante (animo che hanno nel DNA anche quando non svolgono il mestiere, perché il loro fare è sempre quello, anche quando sono impiegati e operai).
Sant’Angelo è unica! Unica perché chi non è santangiolino cerca di diventarlo. Unica perché non è difficile trovare uno straniero che cerca di imparare il nostro dialetto, di imitare i nostri modi di fare.
Che carezza al cuore sentire parlare santangiolino; che carezza al cuore camminare per le vie di Sant’Angelo, frequentare i luoghi di ritrovo e sentire il vociare allegro e colorito dei santangiolini piccoli e grandi; che carezza al cuore rammentare negli occhi di mia nonna la gioia di essere santangiolina e il suo dire: “gh’è gnen da fà, nome santangiulen ghème una marcia in pü!”.
Amo Sant’Angelo, amo i santangiolini e amo la “mia” Costa. Orgoglioso di esserci cresciuto, di aver avuto la fortuna di conoscere personaggi caratteristici che “odoravano” di storia, esempi viventi di ciò che i ricercatori descrivono nei libri.
La Costa è una via che ha alle spalle una lunga storia fatta d’indigenza e di voglia di riscatto. La storia è già nel nome, perché la via ha conservato l’antica denominazione a indicare quella parte del paese che costeggia il Lambro meridionale e nella quale la popolazione esercitò, in larga parte, la pesca.
Gli abitanti della Costa (i tupén) erano, infatti, in larga parte, pescatori che usavano piccole imbarcazioni sul Lambro per inoltrarsi nella fitta rete di rogge che si diramavamo all’interno del territorio, per pescare rane e piccoli pesci (non a caso abbiamo la traversa via del Pescatore e la parallela via Barghetto).
Per secoli è stata una via tra quelle più popolari e povere del paese, tanto da essere evitata persino da abitanti di altri quartieri. Una zona chiusa al punto tale da sviluppare una propria inflessione dialettale (el tupén) rispetto alle altre zone di Sant’Angelo, con l’abitudine al matrimonio tra consanguinei, con cognomi ripetuti, molte volte identici tra marito e moglie.
I tupén erano santangiolini autentici chiamati anche “terrazzani abitanti alla Costa, anche grami tupén”, descritti come caratteristici per il modo di parlare con la finale delle parole in u, di guardare gli altri, di avere degli atteggiamenti scattanti, a tratti aggressivi. Descritti con l’abitudine di anticipare le parole con atteggiamenti di irritazione, con un brontolio a mo’ di cattivo augurio (un misto di aggressività e di remissività), con l’usanza di sedersi per terra, in gruppi numerosi di cinque dieci venti persone, per oziare, con pose zingaresche, gitane, con capigliature corvine, lucenti o rosso acceso, con portamenti, atteggiamenti e modi di fare spagnoleggianti. Così Giovanni Pedrazzini Sobacchi descrive i “magnifici esemplari” che abitavano alla Costa all’inizio del Novecento.
La Costa è sempre stata una comunità chiusa. Chiusura che diventava dignità, appartenenza, condivisione di miseria estrema con un reddito medio che era al di sotto della soglia minima di sopravvivenza; che portava al veto assoluto di amoreggiare e di contrarre matrimonio fuori dalla via. Gente particolare che sapeva fare comunità. Gente che viveva in piccole case, ammassata in stretti spazi scarsamente aerati, con pavimento sterrato e afflitti da continui problemi di umidità per la vicinanza del Lambro (a conferma di ciò, nello stato d’anime del 1865 viene riportato che alla Costa era presente una Corte dei Barbon, a indicare uno stato di evidente e particolare miseria, con persone che vivevano a mo’ di barboni).
Nei giornali di metà Ottocento (febbraio 1864 - Il Comune) si parlava di Sant’Angelo come di un borgo tristemente celebre per essere il “covo di malandrini che hanno piantato le loro tende, frammezzo ad abitanti in generale distinti per operosità, commercio ed indole tranquilla”. Tra questa gente tranquilla ecco altre persone dedite all’ozio, al vagabondaggio, al furto nelle campagne. Chi sono questi? L’articolo indicava come “infima disonesta plebaglia”, responsabile della cattiva immagine di Sant’Angelo all’esterno, gli abitanti della Costa.
L’inizio del Novecento, però, è il momento del riscatto: il paese intero conosce un forte sviluppo demografico e anche alla Costa la situazione, piano piano, migliora. Attorno a largo Santa Maria, dove nella prima metà dell’Ottocento fu costruita Villa Cortese (ancora oggi uno dei pochi esempi rimasti di architettura ottocentesca) si sviluppa il nuovo borgo con espansione urbanistica direzione Cogozzo, con l’inaugurazione da parte del Prevosto Monsignor Molti della nuova Casa di Riposo per anziani (chiamati i vegion). Alla Costa, scomparsi quasi del tutto i pescatori, si diffonde il lavoro del pacchista, tipico lavoro ambulante porta a porta, segno della voglia di riscatto. Si diffondono l’alfabetizzazione e uno stile di vita più dignitoso, anche se in molte famiglie permane uno stile di vita non dissimile da quello dei vecchi tupén, come mangiare la pastasciutta con le mani.
Ancora oggi alla Costa sono presenti gli ultimi scorci caratteristici che rimandano a un quartiere composto da piccole e modeste abitazioni, accalcate una sull’altra, con aspetto povero e un po’ trasandato.
La Costa, con tutta la sua storia, è bellezza. La bellezza di un cammino lungo secoli. Cammino che sa di riscatto. Cammino che è bellezza, perché la bellezza bisogna cercarla. Se la si cerca con attenzione la si trova. La bellezza è ovunque, anche dove c’è solo il silenzio, perché nel silenzio si può osservare, pensare, volare con l’immaginazione. Ecco perché la bellezza è anche alla Costa, la via in cui sono cresciuto, con mamma, papà, nonno Giovanni, nonna Cristina, i miei zii, i miei cugini, i miei amici, al nr. 67, dove abitavo. Ecco perché la bellezza è anche lì, con il ricordo vivo di quando uscivo in strada ad aspettare mia nonna che tornava dalla Chiesa di Santa Maria Regina in bicicletta dove faceva la sacrestana e papà e mamma dal mercato.
La bellezza si nutre della forza del ricordo. La bellezza trova casa nel nostro cuore. E nel mio c’è la “mia” Sant’Angelo, la “mia” Costa, i tanti ricordi e l’orgoglio da vés un tupén.


IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano

Sopra: 1955, Costa, Isola dei Pescatori.
Sotto: bambini in Largo Santa Maria e mercanti della Costa