Partigiani all’attacco tra Sant’Angelo e l’Oltrepò Pavese
La storia del gruppo di ufficiali che si unì alla brigata Giustizia e Libertà di “Capitan Giovanni” e l’assalto del 20 ottobre 1944 alla caserma della Repubblica Sociale Italiana

Lo storico e giornalista pavese Roberto Lodigiani* ricorda un episodio della lotta partigiana in Oltrepò che ha avuto, fra i suoi protagonisti, un gruppo di giovani santangiolini. Un racconto che ancora possiede tinte smaglianti e la forza di un avvincente affresco storico ispirato a fatti reali. Al capitano Giovanni Antoninetti, capo del movimento partigiano, il Comune di Sant’Angelo ha intitolato una strada nella zona Musellina del Quartiere San Rocco.
(*storico e giornalista del quotidiano La Provincia Pavese)

È La fine della guerra nella tarda estate del 1944 sembra vicina. Gli Alleati, sbarcati il 6 giugno in Normandia, hanno sfondato il fronte tedesco e, dopo aver liberato Parigi, procedono speditamente in direzione della frontiera del Reno, ultima barriera naturale che li separa dalla Germania, mentre ad Est l’Armata Rossa sovietica, distrutto un intero gruppo di armate naziste, si avvicina minacciosa ai confini del Terzo Reich. Anche in Italia, il crollo della Wehrmacht appare imminente: liberata Roma, gli angloamericani avanzano verso il settentrione della Penisola.
In questa situazione, il movimento partigiano ingrossa rapidamente le sue fila e si riorganizza, superando la fase dello spontaneismo e dell’improvvisazione, immediatamente successiva all’armistizio dell’8 settembre 1943 e alla nascita delle prime bande. Si formano le brigate, ossatura dell’esercito di liberazione che si organizza anche politicamente, nei tre filoni principali dei garibaldini, vicini al Partito comunista, dei giellisti, controllati dal Partito d’Azione (di tendenza progressista e riformista), e dei matteottini, guidati dal Partito socialista. Queste tre componenti (anche se non mancano, in altre zone del Nord, formazioni di ispirazione cattolica, monarchica ed anarchica) caratterizzano il partigianato dell’Oltrepò Pavese, uno dei più forti e radicati, la cui crescita è favorita dalle caratteristiche del territorio, che dal piano si inerpica verso la collina e la montagna, habitat naturale dei “ribelli”.
È ovvio, quindi, che la guerriglia partigiana dell’Oltrepò faccia da punto di riferimento e da richiamo per quanti, in pianura e nelle città, non vogliono starsene con le mani in mano e intendono dare il proprio contributo alla lotta di liberazione dal nazifascismo. Particolarmente significativa, in tal senso, la decisione presa da un folto gruppo di gappisti (i Gap, Gruppi d’azione partigiana, erano i nuclei della Resistenza urbana) e di altri oppositori della Repubblica sociale, compresi diversi giovani e giovanissimi, di lasciare Sant’Angelo Lodigiano, dove il terreno ormai scotta sotto i loro piedi, per salire fino a Romagnese, in Alta Val Tidone, e unirsi alla brigata giellista di Giovanni Antoninetti (Capitan Giovanni). Tra loro c’è chi, come Piero Speziani e Sandro Tonolli, è di ferme idee monarchiche, ma il leader di Gl, Ferruccio Parri – che sarà presidente del Consiglio nell’immediato dopoguerra, a capo di un governo di unità nazionale, e senatore a vita; nel settembre 1943, sfollato a Voghera con l’ufficio studi della Edison, aveva ispirato la creazione del Cln cittadino – non ha posto pregiudiziali.

Oltre a Speziani e Tonolli (il primo ufficiale delle guardie di frontiera, il secondo delle truppe alpine), si aggregano ai giellisti altri tre tenenti: Gino Castellotti, di fanteria, il più anziano, reduce della Grande guerra; Franco Lombardi, dell’autocentro, Carlo Vitali, del genio militare. Proprio Vitali ha preso contatto con Antonio Ridella, medico di Villanterio ed esponente giellista. C’è poi un capitano di aviazione, Geremia Cielo, che come Lombardi, svolgerà un ruolo di rilievo nell’insurrezione dell’aprile 1945.
Ma chi è il capo partigiano che li comanda? Antoninetti è nato a Rivanazzano il 21 giugno 1912. Tenente di complemento, è sorpreso dall’armistizio in Toscana. Riesce a rientrare in Oltrepò e, con un gruppetto di ufficiali del reggimento Cavalleggeri del Monferrato, di stanza alla caserma di cavalleria di Voghera, si rifugia a Sant’Alberto di Butrio (dove si trova il famoso eremo); nell’ottobre del ’43 incontra Parri e ha colloqui con Pietro Denari, figura di spicco dell’antifascismo vogherese, decidendosi ad entrare nella Resistenza; sceglie come nome di battaglia “Capitan Giovanni” e fissa la sua base operativa a Romagnese: nel dopoguerra, collaborerà strettamente con Enrico Mattei lavorando nell’Eni; muore a Voghera il 17 dicembre 1979.
L’afflusso di nuove reclute consente ai giellisti di Antoninetti di ampliare il proprio raggio d’azione e di porsi obiettivi sempre più ambiziosi. Nel frattempo i garibaldini delle brigate Capettini e Togni, che operano in valle Staffora, attaccano Varzi, costringono alla resa il presidio fascista (formato in prevalenza da alpini della Monterosa) e danno vita alla “repubblica” o zona libera, effimera ma significativa esperienza di governo democratico nel cuore del Nord occupato.
La conoscenza dei luoghi da parte degli ultimi arrivati a Romagnese non è sicuramente estranea all’organizzazione del blitz del 20 ottobre 1944, quando una pattuglia di partigiani, travestita da soldati repubblicani della divisione San Marco (fanti di marina, una delle quattro grandi unità del ricostituito esercito fascista di Salò, addestrato dai tedeschi e agli ordini del maresciallo Rodolfo Graziani), assalta la caserma di Sant’Angelo Lodigiano: la sorpresa riesce alla perfezione e frutta un camion carico di divise, armi, munizioni, oltre a sette prigionieri.
Questa ed altre, sempre più disinvolte, aggressive ed efficaci, iniziative dei ribelli convincono il comando generale lombardo della Wehrmacht ad ordinare l’abbandono di Bobbio, il cui presidio è messo sotto scacco dai partigiani, mentre le autorità pavesi si limitano, con un’ordinanza, a imporre il blocco sulle onde medie degli apparecchi radio, per impedire – evidentemente – l’ascolto di Radio Londra e la diffusione tra la popolazione civile delle notizie sul disastroso andamento del conflitto per le potenze dell’Asse.
In realtà, il mese di ottobre registra gli ultimi successi dei resistenti e si va preparando la controffensiva nazifascista, favorita dalla battuta d’arresto degli Alleati, all’Ovest come all’Est, e fermati in Italia dalle fortificazioni della linea Gotica, che si estende lungo l’Appennino tosco-emiliano fino all’Adriatico, a protezione della pianura Padana.
Verranno, quindi, il durissimo inverno del 1944-45 e il grande rastrellamento dei feroci “mongoli”, soldati di stirpe calmucca dell’esercito sovietico catturati e riarruolati dai tedeschi, che metteranno a ferro e fuoco le valli dell’Oltrepò, uccidendo, violentando, bruciando i cascinali. Ma l’armata partigiana terrà duro e preparerà la riscossa della primavera 1945: i giorni della Liberazione.
Anche grazie a quel gruppo di ufficiali e ragazzi di Sant’Angelo.


IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano

Nelle foto sopra, il tenente santangiolino Piero Speziani con don Giuseppe Pollarolo, il prete dei partigiani dell’Oltrepò Pavese, cittadino onorario di Sant’Angelo, ritratti il 25 aprile 1975 al cospetto della bandiera della “brigata Giustizia e Libertà”; a sinistra partigiani di “Giustizia e Libertà” in azione; sotto il capitano Giovanni Antoninetti.