Grande Guerra, il tributo di sangue dei 154 santangiolini
Una recente pubblicazione rende omaggio ai cinquemila caduti
tra Lodigiano e Sudmilano della Prima Guerra Mondiale

di Lorenzo Rinaldi

Rispetto ad altri centri del territorio, anche di minori dimensioni, il contributo in termini di vite umane che Sant’Angelo Lodigiano ha dato alla Grande Guerra non è stato particolarmente rilevante.
Il dato complessivo - 154 i caduti che risultavano nati a Sant’Angelo - non tragga però in inganno, perché anche la nostra borgata, che ai tempi contava 9700 abitanti, pagò un enorme scotto di “umana sofferenza”, stante la gran mole di feriti lievi e gravi fatta registrare.E a testimonianza di ciò restano il grande monumento fatto erigere in epoca fascista in piazza Caduti (ai tempi piazza Roma) e l’intitolazione della scuola elementare a Riccardo Morzenti, morto nel 1917 in battaglia e i cui resti sono stati individuati pochi anni fa al Sacrario Militare di Oslavia (Gorizia) grazie all’Associazione Combattenti e Reduci, alla sua compianta presidentessa, Domenica Cordoni e alle ricerche di Marco Danelli, appassionato di storia e valente collaboratore del nostro foglio. A gettare uno sguardo complessivo su cosa ha rappresentato per Sant’Angelo e per il territorio lodigiano/sudmilanese la Prima Guerra Mondiale è una recente pubblicazione, a firma del giornalista Ferruccio Pallavera, “I cinquemila soldati del Lodigiano e del Sudmilano caduti nella Grande guerra” (1079 pagine, Pmp Edizioni, 20 euro). Un “libro-miniera”, lo ha qualificato con una sintesi azzeccata il professor Giuseppe Cremascoli, già docente presso l’Università degli Studi di Bologna.

L’autore si è infatti preso la briga di recuperare tutti i nomi dei caduti nella Prima guerra mondiale nei paesi e nelle città della provincia di Lodi e in molti dei centri della zona del Sudmilano. Un lavoro immenso, durato mesi, partito con delle monografie sui singoli comuni (pubblicate a puntate su “Il Cittadino”) e che hanno poi trovato la giusta dimensione in un unico volume. Un’opera che si è arricchita nel corso dei mesi, durante la stesura, grazie all’apporto delle famiglie dei caduti che hanno fornito informazioni e dei presidenti delle Associazioni dei Combattenti e Reduci che hanno spulciato negli archivi polverosi traendone documenti, elenchi e fotografie dei soldati al fronte. Anche Sant’Angelo ha dato il suo apporto: abbiamo già detto dell’Associazione Combattenti e Reduci (oggi guidata da Giancarlo Cordoni) e di Marco Danelli, l’autore nei ringraziamenti cita però anche Antonio Saletta (redattore di questo foglio) e il fotografo Emilio Battaini, anch’egli nostro assiduo collaboratore.
L’opera è inserita fra i Quaderni di Studi Lodigiani dell’Archivio Storico Lodigiano. Si apre con un’ampia sezione dedicata all’inquadramento storico, nel quale si passano in rassegna i teatri di guerra che hanno visto in azione i soldati del nostro territorio. Sull’altopiano pietroso del Carso, solo per fare un esempio, morirono in 400, di cui una dozzina di santangiolini. Non si moriva solo in battaglia. Il numero dei feriti, in una guerra di logoramento, era altissimo. E per questo si cercavano contromisure. Dal libro di Pallavera scopriamo che il primo ospedale chirurgico mobile, da allestire vicino alla prima linea del fronte, fu denominato “Città di Milano” e in esso i medici tentarono inutilmente di salvare la vita a centinaia di soldati, tra cui un santangiolino, Giuseppe Cambielli, classe 1896, morto il 4 settembre 1916 per le ferite riportate in combattimento.
I soldati italiani fatti prigionieri tra il 1915 e il 1918 furono 600.000. Sulla base delle località di nascita furono 348 i deceduti nei campi di concentramento originari del Lodigiano. I prigionieri vennero rinchiusi in strutture appartenenti agli attuali territori tedeschi e austriaco: vennero ammassati in un campo che, venticinque anni dopo avrebbe assunto un nome sinistro, Mauthausen; così come a Sigmundsherberg (Austria), Theresienstadt (Boemia), Rastatt (Germania meridionale), Celle (vicino ad Hannover). Campi erano presenti anche in Ungheria e in Albania. I soldati santangiolini morti in campo di concentramento furono 10.
Il “cuore” del volume sono i capitoli che l’autore dedica ai singoli centri abitati. Si parte con Abbadia Cerreto e si chiude con Zelo Buon Persico. Nel mezzo decine e decine di paesi e città, migliaia di caduti (cinquemila circa, di cui sono riportati nomi e luogo di morte) e un ricchissimo corredo fotografico, con un buon numero di immagini scattate direttamente al fronte.
A Sant’Angelo, come già ricordato, i caduti furono 154: 66 per ferite riportare durante la battaglia, un buon numero perse la vita direttamente in combattimento, in quattro non fecero più ritorno dalla Macedonia (Giovanni Bracchi, Giulio Granata, Giovanni Pozzoli e Leonildo Tonali), uno non tornò più dall’Africa (Angelo Ercoli, disperso in combattimento in Libia nel giugno 1915). Complessivamente, Sant’Angelo contò 19 dispersi, mentre furono ben dieci i fratelli morti in guerra. E ancora, soprattutto dopo la “rotta” di Caporetto furono mandati in prima linea i diciottenni che erano nati nell’ultimo anno dell’Ottocento. I “ragazzi del ‘99” morirono a migliaia: due erano nati a Sant’Angelo, Francesco Daccò, che morì nel maggio 1918 in un ospedale da campo per le ferite riportate in combattimento, e Antonio Sali, deceduto nell’ottobre 1918 in un altro ospedale da campo a causa di una malattia.



Nelle foto da sinistra e senso orario: il volume di Pallavera, Luigi Lolla, Riccardo Morzenti, Michelangelo Vignali (il primo a sinistra).