Trent’anni di lavoro per il boschetto
Questo articolo è stato scritto in concomitanza con il rinnovo della convenzione per la gestione del boschetto tra il WWF Lodigiano Pavese e il comune di Sant’Angelo Lodigiano.
È una risposta a tutti quelli che mi domandano: “Ma perché continuate ad andare al boschetto?”

di Cristoforo Vecchietti


C’è un luogo del Lodigiano “ricostruito” a cui sono particolarmente affezionato perché ho contribuito personalmente a trasformarlo. È una striscia di terra rettangolare collocata a Sant’Angelo Lodigiano tra l’ospedale Delmati e un quartiere residenziale di ormai quarantennale costruzione. Si tratta del boschetto WWF. Lì 30 anni fa, era il 1987, mi ritrovai con un gruppo di amici, volontari WWF e di altre associazioni e allievi delle scuole del paese. L’obiettivo era la nostra prima “piantumazione” come le chiamavamo allora. Una collocazione di alberi in un terreno incolto, messo a disposizione dall’amministrazione comunale. Il terreno era spoglio, ai lati preesistevano alcuni vecchi tigli probabilmente centenari, che contornano il perimetro ancora oggi e conservano intatta la loro energia. A far da lato sulla sinistra un fossato, residuo antico del reticolato idrico che serviva gli agricoltori santangiolini. Uno degli affluenti, stando al ricordo dei vecchi, del Ciavegòn (chiavica grande in italiano) chiamata anche roggia Sant’Angelo che ora continua a scorrere coperto davanti allo stadio.
Uno dei paradossi del boschetto è che gli alberi arrivarono in campagna dalla metropoli. La prima forrnitura di pianticelle, ormai decisamente cresciute, andammo a ritirarle al bosco in città di Italia nostra a Milano. Ricordo il viaggio nel traffico della tangenziale per poi entrare in città ed incredibilmente scoprire un autentico bosco. Eravamo accompagnati da volontari del bosco milanese. Un ragazzo basso e tarchiato che chiamavamo lo gnomo decisamente più vicino alla terra che al cielo ed un signore alto ed allampanato che assomigliava ad un albero e che avrebbe voluto farsi albero esso stesso per restare in quel luogo a proteggere gli alberelli. Nel mezzo io ambientalista neofita che a fatica distingueva un pioppo da un olmo o un platano da una quercia. Tante altre piante sarebbero poi arrivate dai piantonai della provincia di Lodi. Decidemmo anche che il boschetto sarebbe rimasto libero senza recinzioni né cancellate. Volevamo esprimere forse la nostra idea di libertà e quella di apertura. La natura doveva restare libera e fruibile per tutti A questo lavoro di collocazione di alberi ne sarebbero seguiti tanti altri, nei depuratori del consorzio Basso Lambro, nei giardini delle scuole e in collina, ma l’album dei ricordi torna inevitabilmente in quel rettangolo di bosco: il boschetto sotto la grande nevicata, il boschetto d’estate quando le piante sono talmente fitte da dar la sensazione di essere davvero persi in un bosco, l’apparizione di un gigaro o di un fungo, uno dei nostri nidi artificiali che viene abitato da un uccello.
L’idea di realizzare un bosco padano tipico autosufficiente ancora oggi non è completamente realizzata. Il boschetto risente oggi dei problemi di aree ri-naturalizzate in modo artificiale: alberi troppo alti e invasione di specie straniere.
In fondo negli anni ’80 un gruppo di giovani entusiasti e neofiti dell’ambientalismo riuscì a realizzare un bosco a costo zero. Bastò tanto entusiasmo e tanta buona volontà per ottenere un risultato che corre verso il mezzo secolo di permanenza.
Per gli amanti dei dati il boschetto è un rettangolo di 12 m. per 24 m.
Venite a visitare il boschetto, l’entrata è libera e gratuita, basta seguire il sentiero.

IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano