Con “Fin ch’la düra, mai pagüra!” il gradito ritorno del dialetto!
Alla sala della BPL la presentazione del nuovo libro di Angelo Pozzi
per la Società della Porta

di Matteo Fratti

Non solo un libro, ma anche un augurio.
È questo l’auspicio di una serata in cui l’attesissimo ritorno alle stampe di Angelo Pozzi con un altro libro sul dialetto barasino ritrova il pubblico delle grandi occasioni, e la parlata locale che Sant’Angelo non dimentica si può leggere ancora una volta sulla pagina scritta di un nuovo testo, atteso, appassionato, accurato e, diciamolo pure, ricercato.

Non un debutto quindi, quello di sabato 26 novembre alla Sala della Banca Popolare di Lodi, ma la presentazione di un ritorno in libreria, che insieme all’autore, ha visto al tavolo dei relatori anche lo studioso Luca Piacentini, dottorando presso la facoltà di Lettere dell’Università di Pavia e Ferruccio Pallavera, il direttore del quotidiano “Il Cittadino”, coadiuvati da Lorenzo Rinaldi, giornalista della stessa testata, nonché direttore del nostro bimestrale. E nell’evento giocato in casa dalla Società della Porta che pubblica anche “Il Ponte”, il progetto editoriale che già Pozzi aveva inaugurato curando il precedente “Ma l’èr tü`te un òlter mùnde” (la raccolta dei racconti dei nostri lettori nel gergo quotidiano, 2014) trova seguito nell’attuale pubblicazione di “Fin ch’la dü`ra, mai pagü`ra”, ufficialmente presentata nel weekend di fine novembre e ora disponibile direttamente anche presso la Libreria Centrale. Cento proverbi, trecentocinquanta modi di dire, un dizionario santangiolino-italiano con millecinquecento parole e tra le righe, l’incessante fervore antropologico con cui Pozzi ripercorre le tracce idiomatiche del “volgo” del quale ne ha dato diretta testimonianza per l’occasione, che si è proposta varia nei contributi ma che ha avuto come solo e unico protagonista il nostro “vernacolo”. Qualcosa intorno a cui l’interesse si fa più vivo allorché nei giovani vanno sparendo le radici di un linguaggio la cui italianizzazione ne muta i costrutti, la tradizione linguistica, il sentimento intorno a cui convive l’appartenenza popolare e le profonde certezze empiriche dei suoi detti.



Un coinvolgimento emotivo da cui pertanto neppure si scansa Pozzi, ingegnere e abituato a maneggiare ben altre moli di dati eppure vicino all’umanistica passione delle lettere, quelle vissute nella parlata locale, per cui confessa: “La parlata di Sant’Angelo fa parte di me, se perdo il dialetto, perdo una parte di me. Le cose sono cambiate, tutto si trasforma, ma resta la consapevolezza di appartenere a una comunità più unica che rara per la sua originalità, caparbietà, vivacità e fantasia”. Parole cui fa così eco tanto l’intervento del Piacentini, esaustivo in merito alle peculiarità linguistiche che permangono nelle desinenze del santangiolino, isola rispetto alle altre costruzioni del parlato lodigiano; quanto del direttore Pallavera, che attesta la riscoperta delle parlate dialettali in un mondo globalizzato, che rischia di perderle. E se “Fin ch’la dü`ra, mai pagü`ra” si presenta piuttosto come un libro “sul dialetto”, a sciogliere la rigidità del pubblico ai contrappunti aulici della materia ci hanno pensato invece gli interventi “in dialetto”, con un gustoso recitato (ma poi neanche troppo..) di letture e traduzioni (..or affatto necessarie) di Gabriella Bracchi e Giancarlo Belloni, e che nella profonda ricerca mescolata a una testimonianza diretta rievocano i legami coi nostri avi, l’oralità delle nostre terre, quel che siamo stati e una tradizione identitaria che non si vorrebbe perdere, come non vorremmo perdere il ricordo delle persone più care che mai si sarebbero sognate di dircelo in italiano. E nell’invito dello stesso direttore de “Il Cittadino” Pallavera a seguire un filone compilativo che un giorno potesse raccogliere anche le innumerevoli “scumagne”, soprannomi che la creatività popolare ha nel tempo appioppato a ciascun appartenente alla comunità, da Pozzi l’anticipazione di un’ulteriore possibile pubblicazione che tenga aperta la ricerca anche in questo campo, da lui coltivato fin da ragazzo annotandone innumerevoli con carta e penna.
Con il contributo di tutti, appunto, perché “fin che dura, mai paura”: si raccolga, si annoti, si conservi, ma soprattutto si parli, dato che per quanto conservativo possa essere, anche il nostro dialetto nel tempo potrebbe svanire, disperdendo quelle caratteristiche che, ancora vive, sono la nostra memoria storica.

 

IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano