Resta vivo il ricordo dei cordai
Il racconto di Serafino Midali, da giovane al lavoro nel quartiere San Martino
In estate, intanto, demolito uno degli ultimi santé coperti



Hanno suscitato curiosità e interesse le operazioni di demolizione di uno degli ultimi santé coperti di Sant’Angelo, utilizzati per la produzione della corda. Una lavorazione, quest’ultima, che ha rappresentato una fonte di reddito per numerose famiglie santangioline fino alla metà del secolo scorso e, in alcuni casi, anche nei decenni immediatamente successivi. Nel santé di via Cordai - abbandonato ormai da anni - le ruspe sono entrate in azione nel mese di agosto e in breve tempo hanno abbattuto la struttura: l’area in futuro sarà probabilmente destinata a nuove costruzioni, vien da pensare nuove case vista la collocazione.
Tra quanti hanno lavorato in via Cordai, seppur per breve tempo, c’è Serafino Midali, nato nel 1944 a Valleve, un paesino della Bergamasca, nell’alta Valbrembana. Midali si è trasferito a Sant’Angelo con tutta la famiglia (padre, madre, cinque fratelli e due sorelle) nei primi anni Cinquanta; quella dei Midali è una delle famiglie che, dopo la Seconda guerra mondiale, hanno lasciato le valli della provincia di Bergamo per mettere radici nel nostro paese o nel circondario. “Ho iniziato a lavorare la corda quando ancora andavo alle elementari - ricorda Midali -, metà giornata la passavo a scuola e metà sui santé. Era un lavoro umile e faticoso, ma erano tempi in cui era necessario portare a casa il pane. Inizialmente ho girato svariati santé, poi ho trovato impiego presso Angelo Pasetti, che aveva santé coperti al Lazzaretto: si trattava di una buona sistemazione, perché si poteva lavorare anche con il brutto tempo e dunque la paga era più alta”.

Le parole di Midali sono probabilmente destinate a rinfrescare la memoria in tanti santangiolini di una certa età, che ben rammentano quando nei quartieri di San Martino e San Bartolomeo, ma anche alle Vignole, i santé erano in piena attività. “Conservo ancora il vecchio libretto di lavoro: ho lavorato fino ai 16 anni come cordaio, prevalentemente dai Pasetti, poi ho trovato un altro impiego - aggiunge Midali - ricordo bene che quando ho iniziato prendevo 35 lire all’ora. Il giorno di paga era al sabato e prima di tornare a casa passavamo dal datore di lavoro a riscuotere lo stipendio della settimana”. Non sempre, tuttavia, il lavoro veniva retribuito a ore: “C’era chi faceva la fata, un modo di dire per significare che si lavorava a cottimo - spiega Midali - se avevi la fortuna di avere un buon compagno di lavoro si poteva optare per questo sistema, che permetteva guadagni più elevati”. Sui santé non era raro trovare le donne, madri e figlie che contribuivano in questo modo al bilancio familiare. “C’erano anche tanti giovani e il ricambio era elevato perché la paga non era certo ricchissima - afferma Midali -, il reclutamento avveniva con il passaparola e le conoscenze dirette. Per quanto riguarda le donne, alcune lavoravano la corda in autunno, inverno e primavera, mentre nei mesi estivi si trasferivano nelle risaie dell’Oltrepò. Il lavoro sui santé era duro, soprattutto perché eravamo sempre in movimento. Nella bella stagione la giornata tipo iniziava la mattina presto, attorno alle 7: si lavorava fino all’ora di pranzo, poi una breve pausa e si riprendeva nel primo pomeriggio, fino all’ora di cena. Il tempo per annoiarsi, insomma, proprio non c’era”.
Lorenzo Rinaldi

IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano