La lotta politica a Sant’Angelo all’indomani dell’Unità d’Italia

Per celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia (1861-2011), “Il Ponte” offre ai suoi lettori un interessante testo inedito di ANGELO MONTENEGRO, scritto che fa parte di un più ampio studio che il sempre compianto storico santangiolino stava compilando per poi essere pubblicato in un volume dal titolo «Sant’Angelo Lodigiano. Storia politico-amministrativa di un comune “bianco” della bassa Lombardia, 1860-1945». Purtroppo la morte dell’autore ha interrotto il lavoro e, fra i testi che tanto gentilmente la moglie Bibiana ci ha consegnato, mancano alcuni capitoli che rendono laboriosa la pubblicazione in un volume, che certamente sarebbe stato un ulteriore contributo alla riscoperta della storia di Sant’Angelo Lodigiano. Il testo che presentiamo viene suddiviso su due numeri de “Il Ponte” e, per renderlo più conforme alla finalità di un giornale, sono state tolte le note che lo corredano.


SECONDA PARTE

Nelle elezioni politiche del 1861 nel collegio elettorale di Borghetto, nel quale era compreso Sant’Angelo, si affermerà nuovamente il candidato liberale Davide Levi, ma subito dopo seguiva il candidato clericale Luigi Caporali che aveva raccolto quasi tutti i suoi suffragi a Sant’Angelo dove era stato il primo eletto.
Questi dati caratterizzavano fortemente Sant’Angelo rispetto agli altri comuni del Lodigiano facendola apparire come una roccaforte del clericalismo. E questo spiega l'accanimento con cui l’intero paese veniva preso di mira dalla stampa liberale.
Se volessimo riferire alcune cronache riportate dalla stampa circa il clima instauratosi in paese avremmo solo l'imbarazzo della scelta.
A proposito dell’accoglienza fatta il 24 ottobre 1860 al battaglione della Guardia Nazionale di Lodi, al suo passaggio per raggiungere Pavia, un periodico lodigiano scriveva: “Il giorno 24 [...] giungeva a Sant’Angelo, diretto alla volta di Pavia il battaglione della Guardia Nazionale di Lodi. Il Municipio locale nella persona del Sindaco, il Signor Raimondo Pandini, fece per quanto era da lui e compatibilmente colla miseria del paese tutto ciò che si poteva per riceverli e festeggiarlo nel miglior modo possibile [...]. Ma il popolo di Sant’Angelo, fatte però le debite eccezioni non corrispose per nulla alle solennità del momento ed alla giustizia della causa [...]. I balconi, le finestre e tutte le porte erano stipate di gente, ma la più parte forestiera, di Sant’Angelo assai poche erano le persone che passeggiavano in quel dì le contrade, e queste poche ancora si notavano vergognose, forse temendo di fraternizzare ed esultare con coloro che vanno a prestare l’opera loro a difesa e sostegno della patria comune [...]. Se togliete il concorso dei forestieri e le sincere dimostrazioni di quei pochi del paese che nutrono ancora qualche energico sentimento di nazionalità, Sant’Angelo presentava l’aspetto d’un paese invaso e saccheggiato dal nemico”.


Raimondo Pandini (1810-1889), primo sindaco di Sant’Angelo dopo l’Unità d’Italia.
La nomina a sindaco di Sant’Angelo per iI triennio 1860-1862

La descrizione parve eccessiva persino al sindaco Pandini che inviò una lettera al periodico in cui rimarcava che le “corrispondenze da Sant’Angelo relative a quell'episodio non sono né abbastanza esatte né sufficientemente dettagliate”.
Descriveva poi tutti gli sforzi compiuti dall'amministrazione per accogliere adeguatamente il battaglione anche se doveva infine ammettere che “il popolo non fu espansivo, non esternò con battimani ed evviva la sua gioia”. E concludeva chiedendo di essere “indulgenti e discreti col povero popolo, sino ad ora si è fatto tanto poco per lui e per la sua educazione”.
Naturalmente i periodici liberali attribuivano all’invadenza del clero e alla forte influenza da questi esercitata sul popolo l’ostilità riservata alla Guardia Nazionale. In realtà per i ceti popolari per i quali l’indigenza era la regola più che l’eccezione, la Chiesa era stato l'unico punto di riferimento per ottenere il minimo indispensabile per soppravivere nei tempi difficili.
Anche sotto il governo austriaco, nonostante le diverse leggi tese a limitare il potere della Chiesa nel campo dell’istruzione e dell'assistenza il controllo rimase sempre saldamente nelle mani del clero e le autorità austriache avevano sempre evitato di forzare la situazione anche perché la Chiesa rimaneva comunque un elemento d’ordine solido e affidabile.
A Sant’Angelo don Bassano Dedè era amministratore dell’Istituto elemosiniere, divenuto poi Congregazione della Carità, e dell’Ospedale Delmati, cioè delle due maggiori istituzioni nel campo rispettivamente della beneficienza ai poveri e dell’assistenza ai malati.
La chiesa controllava inoltre l'orfanatrofio e il ricovero della vecchiaia e gestiva i numerosi lasciti testamentari il più consistente dei quali era stato il cosiddetto legato Sommariva, mentre lo Stato era un’entità astratta e assai lontana, rappresentata unicamente dalla forza pubblica, dall’autorità giudiziaria, dall’esattore delle tasse e dall’obbligo della leva militare.
Don Bassano Dedè con il suo forte impegno nella beneficienza e nell’assistenza era venerato quasi come un santo, soprattutto nei quartieri più popolari come la Costa. Le sua implacabile durezza contro liberali e garibaldini quasi tutti di estrazione aristocratica o alto-borghese erano sentiti dal popolo come una sua rivalsa contro i potenti, storicamente indifferenti alla loro condizione di miseria e ciò contribuiva a fare del parroco un eroe popolare, coraggioso fino a sopportare la galera e implacabile contro i ricchi liberali e contro quelle istituzioni pubbliche che ai loro occhi li rappresentavano. Questo fideismo sommato alle condizioni diffuse di estrema povertà e analfabetismo potevano a volte assumere caratteri obiettivamente eversivi, soprattutto in un momento in cui lo Stato pontificio sosteneva e alimentava con finanziamenti la guerriglia e il brigantaggio nel Sud e nella Romagna nella speranza di un ritorno di quei territori ai loro antichi sovrani.
La delinquenza comune e il furto, cui erano spinti folle di miserabili per sopravvivere poteva perfino ammantarsi di una certa legittimazione ideale se era rivolto contro i proprietari di fondi appartenuti all’asse ecclesiastico dato che i compratori erano stati scomunicati da Pio IX.
Così come poteva apparire giustificata una resistenza armata contro le forze dell'ordine da parte di delinquenti comuni, poiché con la “persecuzione” del clero queste si erano rivelate nemiche dei buoni cristiani.
Tale associazione veniva esplicitamente stabilita dalla stampa liberale lodigiana in occasione di alcuni gravi episodi di violenza accaduti a Sant’Angelo o nel circondario. Il 24 aprile 1864 era avvenuta una “invasione” a mano armata della Cascina Ceregalla, nella quale furono coinvolti molti santangiolini, cui seguirono una raffica di arresti e severe condanne perpetrate dal tribunale di Crema. Ma un consistente numero dei componenti della banda, quasi tutti barasini del quartiere “Costa”, si diedero alla latitanza.
Due anni dopo alcuni di questi furono individuati a Sant’Angelo e arrestati, ma con grande difficoltà. Ecco come un periodico lodigiano ne descrisse la dinamica: “Dopo varie ricerche, verso le ore 9,30 sera del 25 marzo per opera dei Reali Carabinieri - Mazzolini Floriano, vice-brigadiere, e Boracchia Agostino - nell’osteria di certo Cerri si compiva l'arresto del capo di quella banda, Brunetti Giovanni Battista, giovane ardito, di forza erculea, armato di acuto falcetto, nonostante avesse opposte la più viva resistenza per non essere catturato. Appena esciti dall’osteria, mentre lo si conduceva alla caserma, i due carabinieri furono improvvisamente accolti da una scarica di diverse armi da fuoco, i cui proiettili hanno lasciato la loro impressione in una vicina muraglia. È facile ad immaginare che simile attacco provenne dai compagni del Brunetti, appostati in agguato, fra i quali si è veduto il Rozza Leonardo armato di trombone [...]. I carabinieri riescirono a trascinare con loro il prigioniero in mezzo ad un attruppamento di rivoltosi, accresciuti a poco a poco sino a circa una trentina, rispondendo agli attacchi con colpi di revolver [...]. Poco dopo [...] venne arrestato proprio nel quartiere detto la Costa, abitato dall'infima disonesta plebaglia, certo Daccò Luigi, capo della opposizione armata [...]. È a dolersi che la forza pubblica non abbia trovato alcun appoggio o soccorso, sia nella popolazione, sia nella Guardia Nazionale, la quale ultima almeno avrebbe dovuto accorrere e prestare mano. Che la reazione serpeggiante in questo borgo ne sia la vera, la unica causa? Povero paese, allora diremo, a che mai punto ti han condotto i tuoi neri mestatori!”.
Inutile aggiungere che “i neri mestatori” erano i rappresentanti del clero e i loro fiancheggiatori laici.
La stessa correlazione tra questo incidente e l’egemonia clericale in paese era sottolineato anche da un altro periodico di ispirazione liberal-democratica.
Ma al di là dei giudizi più o meno di parte, il fatto era obiettivamente assai grave, poiché una sparatoria in paese contro i carabinieri era un reato assai anomalo se consideriamo che i reati più frequenti nel Lodigiano negli stessi anni erano rappresentati dai furti campestri. Evidenziava comunque una situazione di diffusa ostilità nei riguardi delle istituzioni rappresentate in quel momento dai carabinieri.
Altri arresti di latitanti della stessa banda avvennero nei mesi successivi nelle campagne dove pare continuassero i saccheggi e i furti nelle cascine.
Anche in queste circostanze la stampa liberale denunziava come questi furti sembravano avere carattere selettivo: “C’è un borgo sfortunatissimo nel nostro territorio, dove gli amici di quell'arciprete godono a quel che ci narrano, un privilegio speciale il quale consiste in ciò che le loro proprietà sono rispettate dai conterranei, mentre le altre sono prede al primo occupante, quando non appartengono a taluno di quelli che non esitano a dar giù bastonate senza misericordia. Sicché in quel borgo a tutelare i propri possedimenti è necessaria l'amicizia del Prevosto”.
Angelo Montenegro
(2.fine)


La prima parte è stata pubblicata ne “Il Ponte” n. 1 - Febbraio 2011
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IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano


 

 


e il decreto reale di nominaa sindaco di Sant’Angelo per il triennio 1863-1866