25 Aprile – Donne e Liberazione

La resistenza civile di Maria Ravarelli
per anni custode del Castello

Pur essendo la Resistenza partigiana, come la guerra del resto, un fenomeno declinato prevalentemente al maschile, importante è stato comunque il ruolo delle donne. Queste, alcune inquadrate in formazioni partigiane combattenti, le più con funzioni di supporto e collegamento, lottarono con forza per la riconquista della libertà. Ma Resistenza fu anche quella di chi, fuori da ogni schema organizzativo, seppe scegliere da che parte stare e diede il suo contributo, altrettanto importante, nelle azioni di tutti i giorni; in questa Resistenza civile moltissime donne furono in prima linea. Di una di esse, Maria Ravarelli, vogliamo raccontarvi la storia. Lo facciamo grazie ad una memoria scritta del prof. Antonio Soini, non dimenticato medico della nostra città, già pubblicata nel 1989 sul bollettino parrocchiale “La Cordata” in occasione della morte della protagonista. Ed essendo il 2007 l’anno europeo delle pari opportunità, durante il quale in tante occasioni si evidenziano i percorsi femminili nella Storia, ci è parso opportuno riprendere la vicenda umana che portò questa donna, più conosciuta come “la Marietina del Castél”, a partecipare alla lotta per la Liberazione.

La “Marietina del Castél”

Maria Ravarelli fu per anni la custode del Castello di Sant’Angelo proseguendo un incarico che i Bolognini avevano affidato alla sua famiglia. Il padre, Carlo Ravarelli, era infatti uomo di fiducia dei Conti e si occupava della gestione dei terreni e della dimora. Sposato con Domenica Speziani ebbe tre figli, Maria, Giuditta e Pietro. Maria e Pietro davano una mano al padre nella gestione delle proprietà mentre Giuditta si sposò e lavorò come sarta. Dopo la morte del padre e la prematura scomparsa del fratello Pietro, Maria assunse il ruolo di custode del Castello in quella casa che i Bolognini avevano dato al padre in ricompensa del grande lavoro svolto in occasione dell’incendio che devastò il maniero nel 1911.


Maria Ravarelli

È qui che la troviamo come persona di fiducia dell’ultima proprietaria del Castello, la contessa Lydia Caprara Morando Bolognini. È qui, come scrive il prof. Soini che Mariettina “dopo la caduta del fascismo e ancor più dopo l’8 settembre del ’43, si trovò a sostenere pesanti responsabilità”. Sant’Angelo, come molta parte del Nord d’Italia, “era diviso fra una maggioranza antifascista ed una minoranza aderente alla Repubblica di Salò. Mariettina non ebbe esitazioni nella scelta fra le due fazioni in quanto apparteneva ad una famiglia che per tradizione era di militanza cattolica”.
Gli antifascisti avevano bisogno di luoghi sicuri per incontrarsi, nascondere armi e materiale di propaganda. Il Castello, punto di passaggio di molte persone, con i suoi sotterranei e i suoi nascondigli ben si prestava ad essere centro delle attività clandestine: “dato l’andirivieni di persone il castello si offriva ad essere il punto di riferimento per la diffusione di notizie segrete nella lotta clandestina e di riunioni notturne dei partigiani senza che queste attività potessero dare nell’occhio. Naturalmente la responsabilità di ospitare queste manifestazioni gravava per la gran parte sulla Mariettina”.
Determinante, per i suoi rapporti con gli agricoltori della zona, fu il suo ruolo nell’ospitare partigiani nelle cascine del circondario (So-ini cita la cascina Cà dell’Acqua di Angelo Cerri e la cascina Cantarana di Nanni Marangoni) e “quando questi rifugi non furono più sicuri Mariettina alloggiò dei patrioti nei locali del castello”.
Naturalmente il suo comportamento non fu esente da rischi: nel settembre e nel dicembre del 1944 fu sottoposta a due interrogatori da parte delle Brigate Nere di Lodi messe in guardia da una talpa locale. Riuscì però a cavarsela senza compromettere il movimento clandestino. Il suo impegno continuò dopo la Liberazione “quando il Castello diventò il punto di raccolta dei soldati dispersi e la Mariettina si adoperò per soccorrerli senza alcuna discriminazione”.
Poi, quando la guerra era ormai lontana, la sua indole altruista la portò su altri fronti: in molti la ricordano protagonista in opere caritative parrocchiali. Morì l’8 luglio 1989 a novant’anni.
La memoria del professor Soini si conclude così: “Per tutti questi meriti la signorina Ravarelli avrebbe meritato in vita un pubblico riconoscimento; questo non le fu dato perché come tutte le persone disinteressate non si era mai messa in evidenza. Ciò non toglie che questo riconoscimento possa esserle dato dopo la sua morte”.
Non possiamo che associarci.
Giancarlo Belloni