Intervista a Mons. Carlo Ferrari

Fare il prete a Sant’Angelo è stato bellissimo


Monsignor Carlo Ferrari ha lasciato la Parrocchia dei Santi Antonio Abate e Francesca Cabrini, di cui è stato guida dal 27 ottobre 1985. Il suo successore, don Gianfranco Fogliazza, farà il suo ingresso ufficiale il prossimo 1° ottobre.
Abbiamo incontrato don Carlo per dare uno sguardo a questi ventuno anni tra i santangiolini e soprattutto, approfittando della sua capacità critica, per guardare al presente cercando di intuire qualche immagine di futuro.

La prima domanda, più che al Parroco, è rivolta allo studioso di sociologia: dal 1985 al 2006, i santangiolini sono uguali a loro stessi o dal suo punto di vista nota differenze sostanziali tra allora e oggi?
A me pare che uno dei cambiamenti più importanti sia questo: non c’è più lo stimolo, lo slancio che negli anni ‘80 sembrava essere proiettato verso il progresso. Mi sembra che ci sia una specie di sedimentazione dovuta probabilmente alla percezione che il progresso non può essere infinito: l’infinito progresso della scienza, della tecnica, dell’economia… questi elementi, è chiaro, si sono molto attenuati.
Un altro cambiamento che mi appare rilevante è: la gente, oggi, mi sembra dominata da un senso di inquietudine, di precarietà, starei per dire quasi di paura, una paura che viene assopita ma è una paura non da poco perché riguarda soprattutto quello che potrebbe succedere attraverso enormi conflitti. Poi c’è un terzo elemento, che vorrebbe forse far tacere la paura di cui accennavo adesso: è un divertirsi forte, un divertirsi comunque, un fare in modo, insomma, che questi pensieri non abbiano ad occupare la mente; e allora il divertimento è diventato una specie di ossessione.
Questi mi sembrano i cambiamenti socioculturali che anche i santangiolini percepiscono, perché sono diffusi da tutte le realtà. Anche se a me pare che i santangiolini abbiano mantenuto la loro caratteristica di popolo intraprendente, che per esempio sente molto la relazione con le persone e percepisce l’impegno nel volontariato: non è facile trovare una comunità dove ci sono queste sensibilità. Un volontariato molto diversificato, in genere percepito come un servizio e come un dare, ecco mi sembra la caratteristica e la spontaneità più bella che hanno tanti santangiolini.
Negli anni l’ha spesso accompagnata la nomea di “parroco imprenditore”: a suo avviso qual è stato l’investimento che le ha corrisposto il maggior profitto? Naturalmente non parliamo solo in termini finanziari.
Imprenditore nel senso economico del termine, non so… basterebbe vedere che non sono mai riuscito ad ottenere dalla Regione Lombardia quei contributi che gli altri sono riusciti a ottenere.
Dal punto di vista dell’impegno, ho cercato il massimo in alcuni settori. Il primo è quello dell’annuncio della Parola: per me il corso biblico, le missioni al popolo, i centri di ascolto sono stati impegni molto importanti. Un secondo aspetto che mi ha sempre molto impegnato è la celebrazione della liturgia. E poi il terzo ambito, quello della carità. Io credo che la Casa di Riposo sia il luogo dove si esercita una carità non da poco, attraverso l’organizzazione della Casa stessa ma anche attraverso l’impegno dei volontari. Non c'è evidentemente solo la Casa di Riposo: accennavo prima ad altri ambiti come la Caritas, l’attenzione agli extracomunitari con il gruppo ConTatto, le Acli, l’attenzione ai ragazzi attraverso le Api; c’è poi Africa Chiama, il Cav, tutti interventi, secondo me, di carità. Ecco, questi sono i tre capisaldi dell’imprenditoria ecclesiale.

30 settembre 2001: mons. Carlo Ferrari nel corso della
cerimonia per la posa della prima pietra del Centro Diurno

Negli ultimi vent’anni Sant’Angelo, come il resto d’Italia, ha conosciuto il fenomeno dell’immigrazione. Quale deve essere, oggi e per il futuro, il ruolo dei cattolici nel meccanismo di un’integrazione che fatica ad ingranare?
Credo che il problema mi-grazione sia un problema gi-gantesco, che riguarda l’Italia naturalmente: noi eravamo a nostra volta migranti e io stesso sono figlio di uno che è dovuto emigrare per lavorare. Adesso invece è il contrario, sono gli altri che vengono da noi. È un problema, ripeto, gigantesco, sia per i numeri ma soprattutto per l’entità dell’integrazione.
Quando diciamo integrazione che cosa si intende? Non possiamo pensare, ad esempio, che un musulmano diventi cattolico, non è necessario. È invece necessario trovare una base comune da condividere, bisogna cercare di individuarla. Io penso che la base comune sia quella dei valori fondamentali che noi solitamente denominiamo di diritto naturale, i diritti cosiddetti umani che sostanzialmente sono indicati nella nostra Costituzione nei primi 54 articoli. Io credo che questa dovrebbe essere l’attenzione quando si parla del problema migrazione, in ma-niera particolarissima nelle scuole.
Adesso si parla delle scuole musulmane: se le scuole musulmane accettano come fondamento i diritti naturali, si facciano le scuole musulmane. Così come è importantissimo che nelle piccole di-mensioni come la nostra Sant’Angelo i ragazzi che vanno a scuola, musulmani, induisti o di altre religioni, accettino questi valori.
Poi ci può essere un’ulteriore collaborazione nell’ambito lavorativo: se noi trattiamo gli altri come trattiamo i nostri, perché fanno lo stesso lavoro, impiegano lo stesso tempo, lo fanno nello stesso modo o in modi a volte migliori, oppure fanno lavori che i nostri non fanno più, allora l’integrazione non si fa soltanto sui valori, ma anche sul trattamento. Così bisognerebbe tentare anche di evitare quegli atteggiamenti di rifiuto preordinato.
A mio parere, questo problema gigantesco potrà non dico essere risolto, ma almeno essere avviato a soluzione attraverso questi cammini.
Anni fa l’ho sentita affermare, con entusiasmo, che “fare il prete è troppo bello”. Fare il prete a Sant’Angelo, in particolare, cosa le ha dato di bello?
Fare il prete a Sant’Angelo è bellissimo! Per il semplicissimo motivo che con i santangiolini è facile un buon rapporto e poi, di solito, si ha la percezione che accettino bene il prete. Lo vedo quando vado a benedire le case: è difficilissimo che uno ti dica “No, non voglio la benedizione”. Magari non è gente che viene in chiesa, non è gente credente o non lo dicono apertamente, però “Venga, venga”; ecco, per questo dico che fare il prete a Sant’Angelo è bellissimo, c’è questa facilità di dialogo, di discorso e, starei per dire, di amicizia.
La Casa di Riposo di Sant’Angelo, con il Centro Diurno, resterà inevitabilmente legata al ricordo del suo lavoro e del suo impegno che continuerà in veste di delegato parrocchiale. Cosa si augura per il futuro di quest’istituzione?
Quando io sono arrivato, la Casa di Riposo era essenzialmente un luogo dove c’erano i vegiòn, come li chiamavano, poveri, che non avevano niente da mangiare; oppure erano in una solitudine totale e nessuno si curava di loro.
Adesso invece la Casa di Riposo sta diventando sempre di più una clinica, dove ci sono persone che hanno problemi di salute e che non riescono a trovare una cura adeguata nell’ambito della famiglia. Specialmente i problemi di decadenza mentale vanno accentuandosi, quindi la Casa di Riposo ha la necessità di riordinarsi e di riorganizzarsi e non è una cosa da poco, perché evidentemente il personale, i servizi, l’organizzazione complessiva dovranno mutare tenendo conto del tipo di ospiti.
Don Carlo, lei andrà ad abitare a Lodi ma, come detto, continuerà il lavoro di amministrazione della Casa di Riposo: vuol dire che Sant’Angelo non le deve dire addio?
Non mi dice addio come persona, perché resterò a prestare questo servizio. E io mi auguro, anzi sono convinto che sarà possibile una collaborazione tra la Casa di Riposo e la Parrocchia, perché non dimentichiamo mai che questa istituzione è della Parrocchia e tutto quello che è stato fatto è stato possibile farlo perché c’era la presenza molto forte dei santangiolini, se no non sarebbe stata fatta nessuna Casa di Riposo, nessun Centro Diurno, nessuna trasformazione. Anche dal punto di vista economico, i maggiori aiuti sono venuti dai santangiolini e anche per quanto riguarda le iniziative di volontariato che là si svolgono e che danno un certo clima, un clima familiare, si deve dire grazie ai santangiolini.
Giuseppe Sommariva