Un’esperienza non solo turistica nelle suggestioni
di Vittorio Altrocchi e Guerrino Arrigoni

La via per Santiago nel cammino di due santangiolini

“La galassia, cioè quello bianco cerchio
che lo vulgo chiama la via di Sa’ Jacopo ”
Dante, Convivio (II, XIV, 1)

L’unica maniera per non perdersi lungo la via medievale che traversava l’Europa verso Santiago de Compostela era, lassù nel cielo, la Via Lattea.
Null’altro se non le stelle, che potessero indicarne il cammino verso i confini del mondo allora conosciuto, quel finis terrae poi non così lontano dalle temute Colonne d’Ercole (oltre le quali i navigatori, fuori del mare nostrum Mediterraneo, sarebbero caduti nel vuoto).
Un fascino irresistibile quello di seguirne il tracciato che di molti, fu nel pellegrinaggio alla leggendaria tomba di San Giacomo (Sant’Iago, appunto) nella Galizia spagnola.
Un itinerario che ancora oggi, nel suo intrigante esotismo, conserva un alone mistico che spinge migliaia di improbabili turisti o viaggiatori a mettersi in marcia e sentirsi, ancora una volta, pellegrini.
Cosa voglia dire, lo abbiamo chiesto a due nostri concittadini, il dottor Vittorio Altrocchi e l’architetto Guerrino Arrigoni che, l’uno a piedi e l’altro in bici, hanno affrontato el Camino ufficiale di quasi ottocento chilometri da Roncisvalle, sui Pirenei, a Santiago de Compostela in Spagna: il Cammino di Santiago, appunto. E’ interessante osservare come, se i primi “turisti” furono proprio secoli fa i pellegrini che percorrevano itinerari storici come questo (da cui le prime strutture ricettive in conventi e locande sulla strada), oggi la via viene costituendo un’esperienza affatto esclusivamente turistica, e un’avventura dal magnetismo tutto particolare.




I Racconta Guerrino Arrigoni: “All’accoglienza dei pellegrini a Roncisvalle ti viene chiesto di specificare le ragioni del viaggio, culturale, religioso, sportivo, naturalistico, sociale…Beh, le ho segnate tutte. E anche coloro che segnano solo culturale (come riporta il cartello europeo che scandisce il cammino PERCORSO CULTURALE EUROPEO) sono convinto tacciano motivazioni ben più profonde. Ottocento chilometri verso la tomba di un apostolo, non lo si fa per sport!”.
Così adduce, con un pizzico di filosofia, anche Vittorio Altrocchi: “E’ pellegrinaggio, è via che si percorre con gioia e fatica. Ma non è solo un tragitto geografico; il Cammino significa in ultima istanza, la vita umana. La fatica nel Cammino ci indica che ogni uomo per sua essenza è viator, pellegrino. L’immagine del pellegrino riporta alla memoria la figura di Abramo. Ci ricorda l’esodo nel deserto e la terra promessa. La spiritualità del pellegrino giacobeo coincide con la spiritualità biblica. Il credente è colui che esce dalla sua patria, da quello che considera proprio, nasce di nuovo, abbandona le sue Sodoma e Gomorra e senza voltarsi indietro comincia il suo itinerario, impara quello che è deserto e ogni volta affretterà di più i suoi passi per arrivare alla meta, della quale ha sentito parlare e che considera come terra promessa. Nessuno può accettare un cammino, né essere pellegrino, quando non tiene desta, dentro gli sforzi quotidiani, una meta che non sia provvisoria. Il Cammino di Santiago fu sempre un invito ad andare più in là fino al Finisterre. I pellegrini giacobei alla fine del loro Cammino guardando dal Monte della Gioia la meta e la città dell’apostolo cantavano Ultreia. La gioia di aver raggiunto una meta non appanna la convinzione che l’uomo deve continuare a camminare”.
Dalle parole un percorso ricco di suggestioni, per un viaggio che con la bici o a piedi, comporta rispettivamente le difficoltà di quindici o trenta giorni. Ovviamente la componente turistica ha una pregnanza pur rilevante e tra natura, cultura e spiritualità, giunge ad essere tutte queste tre cose insieme, e molto altro.
Come riporta sempre Guerrino Arrigoni, tra le tappe le più memorabili: “Uno dei ricordi più vivi è l’arrivo alla Cruz de Jerro, la croce di ferro, un palo alto alto con issata in cima una croce metallica. E’ una meta fortemente simbolica nel Camino perché la si raggiunge a 1550 mt dopo una sfiancante salita al termine delle infuocate pianure della Palencia e di Leon ed è un’emozione molto singolare. Infatti, a questo sito, ai piedi della croce, negli anni i pellegrini sul cammino hanno depositato pietre su pietre, portate da casa simbolo delle fatiche, delle speranze, delle motivazioni che stavano nell’andare alla tomba di San Giacomo. E giunto in cima ti trovi una montagna di pietre alta metri e metri dalla quale spunta la Croce. E quando depositi il tuo sasso dopo la fatica alle spalle (ormai a due terzi del cammino) è difficile spiegare cosa provi…”.
Per il dottor Altrocchi altre sensazioni emotivamente più intime, dopo ventitrè giorni di strada, nel ricordo dell’essere prematuramente mattiniero in prossimità della meta: “Lentamente, come in un sogno, attraverso l’enorme distesa di pietra, senza udire il minimo rumore a parte il ritmico tap-tap dei bastoncini sul selciato. Anche questa è un’esperienza singolare. Gli scritti descrivono le folle, il sovrapporsi di molte lingue diverse ed immancabilmente i mercanti che già nel dodicesimo secolo offrivano conchiglie (il simbolo tradizionale del pellegrino di Compostela), vino, scarpe, ogni tipo di erbe medicinali, cibo. Ma ora nessuno nell’immensa distesa di pietra della piazza, uno spazio aperto progettato per accogliere migliaia di persone. Egoisticamente, ingordamente cerco di respirare tutta l’atmosfera di venti secoli di preghiere e speranze. Girando intorno al lato della cattedrale cerco l’Officina de Peregrinos; una giovane donna stampa l’ultimo timbro sulla Credencial, che è diventato un documento piuttosto ricco di colore, dato che ogni posto ha concepito un suo logo oppure un suo sigillo particolare. Un’altra persona scrive il mio nome e la data sulla Compostela, un documento in latino che assomiglia a un diploma e la cui forma risale al quattordicesimo secolo, attestante ufficialmente che sono un pellegrino arrivato a Santiago de Compostela”.
Un viaggio, che alla fine ciascuno ricorda come molto di più d’una vacanza lontano dalla quotidiana routine, e un cammino di molti, che si fa percorso personale di ognuno.
Guerrino Arrigoni, sensibilmente coinvolto, suggerisce infine: “Pellegrini di tutto il mondo e voi che non sapete ancora di esserlo, sperimentate la serena carovana che porta a San Giacomo, e scoprirete un modo di viaggiare totalmente ‘altro’ ”.
Anche il dottor Altrocchi, gentilmente disponibile a raccontarci di quest’esperienza quale appassionato viaggiatore, esorta concludendo: “Paziente lettore, che questo articolo ti animi a cominciare la ‘rotta’ che porta a Compostela e, nel farla, comproverai che custodisce i suoi segreti per colui che peregrina”.
Non possiamo che accogliere l’invito di entrambi e nel mentre, non fare altro che ringraziare…
Matteo Fratti.