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IL PONTE
fabbrica di corda
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ANNO 7 - N. 3 (Versione web - anno 4 n.3) NUOVA SERIE GIUGNO 2003

Mestieri di una volta

I cordai

cordai
Il cordaio Domenico Lunghi, classe 1893 (Foto Saverio Sartorio)

Sant'Angelo li ricorda con una via nel quartiere San Martino. Per anni, soprattutto nella prima metà del secolo scorso, i cordai e la lavorazione della corda sono stati una fonte importante di reddito per l'economia locale. Oggi questa manifattura è totalmente scomparsa, tuttavia la cultura barasina ne è ancora fortemente impregnata.

Il dottor Gino Pasetti, classe 1922, sindaco di Sant'Angelo dal 1956 al 1960 e poi per una lunga stagione dal 1970 fino agli anni '90, è nato in una famiglia di cordai. Nonostante non abbia mai praticato direttamente quest'attività, ne traccia un quadro che certo non ha la pretesa di essere esaustivo, ma risulta pur sempre ricco di spunti concreti e stimolanti. La storia dei cordai, gente umile che faceva un lavoro pesante, è strettamente legata a quella del paese. Un'intimità che si trasforma in patrimonio della memoria, troppo prezioso per correre il rischio che, col passare del tempo, si disperda.

Dottor Pasetti, innanzitutto una curiosità: l'immaginario collettivo vede i cordai confinati unicamente in una parte di Sant'Angelo, nel quartiere San Martino. Perchè proprio lì?

«Lavoravano a San Martino e al Lazzaretto, ma i cordai venivano anche dalla Costa e da Borgo San Rocco. Le lavorazioni erano impiantate in una particolare zona del paese proprio perchè lì c'era disponibilità di spazi: insomma San Martino si prestava ad ospitare i lunghi “santé” usati per fare la corda».

C'è forse anche un motivo legato alle differenze socio-economiche tra i diversi quartieri?

«San Martino era uno dei quartieri più poveri di Sant'Angelo, tra i più popolati. Come pure la Costa e San Rocco. I cordai venivano dalle zone meno ricche. Per la maggior parte si trattava di gente che viveva con difficoltà finanziarie, tant'è vero che a fare la corda si mandavano anche i figli. C'erano maschi adulti, e poi le mogli e i bambini. La corda insomma ha costituito per molti una valvola di sfogo, che alleggeriva dal peso economico intere famiglie in difficoltà. Era un lavoro di miseria, chi produceva guadagnava poco, e guadagnavano poco anche gli operai. D'inverno poi era difficile lavorare, perchè la corda si faceva all'aperto. A volte si stava fermi addirittura per intere settimane, ad esempio per tutto il mese di gennaio».

Davvero interessante. Mi dia qualche dato in più sui cordai. Quanti erano, diciamo, nel periodo del boom?

«Sicuramente più di cento, a ridosso della seconda guerra mondiale. A Sant'Angelo ci saranno stati circa una decina di imprenditori che si occupavano della manifattura della corda. Poi c'erano i dipendenti, gli avventizi, gli operai stagionali».

Pare di capire che quelli prima della guerra, in periodo fascista, siano stati anni floridi  per i cordai. E' così?

«A San Martino ci sono sempre stati, certo è che a partire dagli anni Trenta, e poi con la guerra sono aumentati per via delle commesse belliche. La corda serviva ad esempio per le maniglie delle casse militari. In borgo San Rocco in tempo di guerra arrivarono addirittura da Alessandria ad impiantare i “santé».

Approfondiamo quest'ultima notizia.

«Mi pare che si fossero insediati nei pressi di viale Montegrappa, li chiamavano i “mandrogn” o qualcosa del genere. Quelli non sapevano niente di corda, erano digiuni del mestiere. L'attività l'hanno iniziata con gli operai di Sant'Angelo. Avevano grandi mezzi finanziari, e sono venuti proprio da noi perchè erano certi che qui avrebbero trovato la manodopera già preparata. Poi, con la fine della guerra, se ne sono andati».

I cordai barasini erano quindi estremamente ricercati. Sant'Angelo non importava lavoratori per questa manifattura?

«In determinati periodi venivano in paese quelli che lavoravano la canapa da usare poi per i filetti. Arrivavano ad esempio dalla provincia di Rovigo, e lavoravano qui. Credo lo facessero per la vicinanza di Sant'Angelo con Milano, e poi perchè qui la lavorazione era già avviata».

Gli ultimi cordai hanno smesso negli anni Settanta, Ottanta. Quando cominciò il declino della corda barasina?

«Dopo la seconda guerra mondiale le grandi fabbriche ricostruite si sono messe a produrre la corda in grandi quantitativi. Sant'Angelo avrebbe avuto bisogno di ingenti capitali per poter riconvertire la lavorazione artigiana della corda in lavorazione industriale. Una macchina faceva il lavoro di sette, otto persone. Ci sono stati però alcuni cordai barasini che hanno continuato a servire dei committenti precisi, ad esempio nel Milanese. Lavoravano per conto terzi, e sono riusciti a superare il periodo di crisi, e ad andare avanti».


Lo stand della ditta Angelo Pasetti alla Mostra santangiolina allestita in castello nel maggio 1939
(Foto Oreste Sari)

Risulta ci sia qualche legame  tra Sant'Angelo e l'Emilia per quanto riguarda la corda. Conferma?

«Ai cordai serviva la canapa, la materia prima. Si rifornivano appunto in Emilia, a Bologna, o a Cento. La compravano però anche a Rovigo. Si producevano diversi tipi di corda: c'era lo spago tradizionale, quello per tutti gli usi, oppure i rafforzini, per le reti da pesca o per far lavorare le macchine per la tessitura, e poi la corda vera e propria, di qualsiasi misura».

Lei proviene da una famiglia di cordai. Chi ha iniziato?

«Già mio nonno paterno, Francesco, aveva avviato una lavorazione. Io ho ricordi però dell'attività di mio padre, fondata dopo la prima guerra mondiale, nel 1918. I “santé” erano inizialmente impiantati in via San Martino, e la società era formata da mio padre Angelo, classe 1887, e da suo fratello Luigi. Poi la società si sciolse, e mio padre continuò da solo in via Lazzaretto, proprio nel campo dietro casa mia. Andò avanti fino alla seconda guerra mondiale. Nei primi anni del dopoguerra tentò di riavviare l'attività assieme agli operai, ma ormai non c'era più la possibilità di lavorare in maniera artigianale. Anche due miei zii facevano i cordai. Erano Antonio e Giuseppe Pasetti, fratelli di mio padre, che avevano i “santé” nella zona della Vignola».

Ci abbozzi una mappa della clientela…

«Mio padre aveva clienti sparsi un po' dappertutto, a Bologna, in Piemonte a Carmagnola, e poi nel sud Italia, ad esempio a Sarno e a Catania. In quest'ultima città inviava dei filati fini da usare per le reti da pesca. Ma produceva anche dei lunghi cordoni di 200 metri. Gli vennero commissionati pure dagli Stati Uniti, proprio al culmine della seconda guerra mondiale. Li avrebbero pagati loro, ma erano poi da destinare ai russi. Ricordo che vennero da mio padre gli americani con i camion rimorchio per caricare le corde e  per collaudarne una, la tagliarono con un'accetta. Poi salparono da Genova su una nave russa. Alla fine gli americani pagarono bene».

Ancora due domande: i cordai avevano una loro associazione di categoria?  Ognuno aveva un suo marchio?

«No, non avevano un'associazione particolare. Alcuni erano iscritti agli artigiani, ma non esisteva un ente apposito. Infine, soprattutto per lo spago, ogni cordaio aveva un proprio marchio, anche se non era  depositato, ma serviva solamente per distinguere le lavorazioni. Mio padre sul suo scriveva: “Marca Castello” di Pasetti Angelo».

 Lorenzo Rinaldi

(1.Continua)

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