Storie di commercianti lombardi
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IL PONTE
Storie di commercianti lombardi
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ANNO 6 - N.4 (Versione web - anno 3 n.4) NUOVA SERIE SETTEMBRE 2002

Storie di commercianti santangiolini
"Tanèn"

 

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L’intuizione è al tempo stesso semplice e geniale: vendere tanta merce a prezzi contenuti. Questo il segreto del successo di Tanen, storico commerciante barasino. Più conosciuto in paese per il diminutivo dialettale che per l’effettivo nome del negozio, Tessilgar, la fortuna commerciale di Gaetano Rusconi sta tutta in una piccola idea. Oggi regola filosofica della grande distribuzione, a cavallo tra gli anni 60 e 70, invece fu più una scommessa che non frutto di calcoli o previsioni. Un grande magazzino, in mezzo a quelle che a S.Angelo non erano altro che piccole botteghe segnò una rivoluzione commerciale, che certo Tanen, classe 1920, non si sarebbe mai aspettato di innescare.

Primo di due fratelli, un anno dopo di lui nasce la sorella Teresa, che ben presto verrà chiamata "Gineta". Orfano di padre a soli sei anni, nel 1926, arriva fino alla quinta elementare. Nel 1949, quando la sua attività di ambulante comincia a prender piede, sposa Maria Amici, santangiolina e da lei avrà tre figli : Vittorio nel 1951 e poi Adele nel dicembre 56 e Giuseppe nel 59.

Gli uffici della Tessilgar, in via Mazzini al civico 31, sopra i due piani del negozio, mostrano ancora i segni del lavoro quotidiano. Nonostante abbia chiuso i battenti da qualche mese è come se nessuno si fosse preso la briga di far ordine e pulizia , togliere carte, ricevute calcolatrici e fax. Qua e là ci sono ancora appendini, qualche abito, cartoni, cravatte e confezioni di camicie. E’ come se il tempo si fosse fermato al giorno della chiusura, la vigilia del Natale 2001. In questo ambiente piuttosto irreale, tra telefoni impolverati che non squillano più, segno della frenetica attività degli anni passati, il primogenito Vittorio ricostruisce, con dovizia di particolari, molti assolutamente inediti, la storia del padre, che da piccolo e pittoresco "battitore" è arrivato a ritagliarsi una piccola fetta di storia barasina.

Si direbbe che il connubio tra l’arte del vendere e suo padre Gaetano sia qualcosa di innato. Ma quando in effetti cominciò a farsi le ossa?

<< Da ragazzo, iniziando come garzone di vari ambulanti santangiolini- esordisce Vottorio- ,e quello che rammenta più di tutti è un tale Rognoni, detto "Vilòta", che vendeva tessuti nei mercati della zona. Ricordo che a quanto sentito, spesso arrivavano anche nell’Oltrepò, a Varzi. Poi è venuto il momento del militare. Mio padre è stato in guerra nel sud Italia, a Salerno e in Sicilia. E c’è un particolare interessante, che fa capire la situazione della sua famiglia in quegli anni: infatti spesso racconta che un Natale, tornò a casa in licenza, del tutto inatteso. Quando avvertirono sua madre, questa scoppiò a piangere. Non sapeva cosa dargli da mangiare. In realtà però non avrebbe nemmeno dovuto farlo il militare, essendo l’unico figlio maschio, e orfano di padre. E invece si fece tutta la guerra. Tornato a casa cominciò a fare l’ambulante>>.

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Aldilà delle esperienze da ragazzo. Perché scelse proprio questo lavoro?

<<C’è un motivo curioso, anche se non so fino a che punto abbia pesato. Mio padre scelse di fare l’ambulante perché affascinato dai cavalli. Allora pochi avevano auto e camion, e si girava per vendere con i carri. A lui sarebbe piaciuto avere un cavallo da tirare. Alla fine però, col cavallo non ci è mai andato, anche se non credo che all’inizio avesse i soldi per comprarsi un camion.

Diventò quindi un "battitore", figura curiosa e caratteristica. Erano quelli, ve ne sono ancora pochi, che urlavano sui mercati, sudavano sette camice, per magnificare la loro merce. Una volta si faceva così: andava nei mercati, sbraitava, cercando di attirare più gente possibile. Arrivava col carretto pieno di roba e non se ne andava finchè non lo svuotava. I grossisti erano a Milano, quelli che contavano. A Lodi c’era Bellinzona>>.

La nascita del terzo figlio, Giuseppe, coincide con l’apertura del primo negozio a S.Angelo. Una svolta?

<< Fino a quell’anno ha sempre fatto solo mercati, e anche i miei ricordi di lui al lavoro cominciano proprio tra i banchi, dove mi portava perché non sapeva dove lasciarmi- spiega Vittorio, primo che aiutò i genitori nell’attività di famiglia-. Ha cominciato con l’avere uno, due dipendenti. Ne ricordo uno: Bigen - all’anagrafe Carlo Rusconi- che ha fatto tutta la trafila, dai mercati alla Tessilgar. E’ andato via nell’80 e si identificava con la nostra crescita, prima del banco, poi dei negozi.

Nei mercati vendevamo di tutto, dalle tende al tessuto cotone per i grembiulini. Negli anni 50 avevamo un banco consistente, tutta roba al metro. Io ero piccolo e mi facevano tagliare solo il tessuto "Zephir" che si usava per le camice da uomo. E mia madre in gioventù faceva proprio la "camiciaia", poi dopo essersi sposata, cominciò d aiutare mio padre.
Il mercato più lontano che avevamo era a Melzo e si partiva alle cinque di mattina. Si doveva arrivare prima degli altri, altrimenti ci chiudevano lo spazio per il banco. Il grosso delle vendite cominciava verso le 9,30. Abbiamo conservato ancora adesso clienti o i loro figli, che venivano 50 anni fa a Melzo o a Melegnano. Facevamo mercato anche a S.Angelo, "mettevamo" in via Battisti, un po’ più giù di dove c’è la ringhiera della vecchia Crai.

Poi nel 1959 abbiamo aperto il primo negozio. L’ingresso era in via Mazzini, dove adesso c’è il bar Sport. Ma mio padre continuava anche a fare l’ambulante. Il mercato si faceva solo al mattino e per mezza giornata in negozio stava mio nonno "Pen", Giuseppe Amici, il padre di mia mamma. Negozio- sorride Vittorio- erano solo un po’ di stanze affittate.
Nel 1961 siamo andati al civico 48, sempre in via Mazzini, dove adesso c’è un fiorista. Cominciavano a esserci un po’ più di spazi, anche se i magazzini, sempre in affitto, erano stalle riadattate. E da allora si è cominciato a introdurre il confezionato: lenzuola, gonne, capospalla (come chiama giacche e cappotti il negoziante Vittorio nel linguaggio del mestiere). Rifornivamo anche gli ambulanti, in pratica facendo in qualche modo un po’ anche i grossisti>>.

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Il businnes affermato dei mercati vocianti, affollati e rumorosi, cominciava ad affievolirsi?

<< Nel frattempo i mercati si andavano abbandonando. Il primo che mio padre ha lasciato è stato quello di S.Angelo, a cavallo tra il 59 e il 60. L’ultimo mercato, a Melzo, che per noi rappresentava la piazza più importante, l’abbiamo fatto nell’autunno del 1969. Ma l’abbandono è stato solo per motivi di tempo>>.

E poi l’impresa più avventurosa, nel 1969 l’apertura dell’attuale grande magazzino?

<< L’abbiamo costruito noi, in via Mazzini, al civico 31. La vera scommessa vincente di mio padre. E’ stato bravo e fortunato. Allora c’era il mercato che vendeva roba da poco, mentre i negozi avevano prezzi alti perché anche i costi erano elevati. Invece lui ha cercato di vendere tanto abbassando i prezzi. La merce la compravamo direttamente dai produttori. Il periodo migliore è stato negli anni 70, e siamo diventati un fenomeno anche aldilà di S.Angelo. La clientela arrivava da Milano, Crema, Pavia e tutto l’Oltrepò. Ricordo domeniche che chiudevamo già alle 11 di mattina perché dentro era tutto pieno di gente.

Il nome del negozio, Tessilgar, è venuto quando eravamo già qui. Inizialmente si chiamava "Centro Convenienza". Poi l’idea: Tessilgar. Il finale "gar" sta per Gaetano Rusconi.

Siamo arrivati fino a 15 dipendenti, oltre a noi della famiglia. La clientela tipo era proprio la famiglia media italiana, e la nostra filosofia, specie negli ultimi anni, è stata appunto indirizzata ad accontentarla>>.

La chiusura, nel 2001, è storia dei giorni nostri. Il modello, quel modello, unico nella zona, è andato in crisi. Una soluzione commerciale basata sul rapporto di fiducia tra il cliente e il venditore. Spesso si creava anche un’ amicizia personale tra clienti e commessi. Un servizio da piccolo negozio, in un grande centro.

E quello della Tessilgar, come conferma anche Vittorio Rusconi, è un modello difficilmente esportabile negli attuali ipermercati, dove la vendita, volenti o nolenti, è anonima, spersonalizzata.

In pratica un negozio atipico, inizialmente dirompente, di rottura, che poi col passare degli anni si è tramutato in una realtà per famiglie, su cui molti contavano per soddisfare il guardaroba dell’intera stagione.

Lorenzo Rinaldi

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