Quando la processione del Corpus Domini era l’immagine della fede popolare


La festa del Corpus Domini celebra il mistero dell’Eucaristia istituita da Gesù nell’Ultima Cena. Caratteristica fondamentale della festa è ovviamente l’adorazione eucaristica, che era abbinata a una solenne processione accompagnata da sfarzose manifestazioni di devozione popolare, a cominciare dall’addobbo delle vie e delle finestre che vedevano il passaggio del sacerdote con l’ostensorio.

Sotto il sole cocente del pomeriggio le interminabili processioni si snodavano per le contrade, variando il tragitto di anno in anno, e gli abitanti gareggiavano nell’ornare e abbellire le loro case con addobbi, fiori e altarini. Un posto di primo piano era riservato ai confratelli del Santissimo Sacramento con il loro saio bianco e la mozzetta azzurra, che avevano il compito di portare il pesante baldacchino a otto aste dove il sacerdote celebrante recava l’ostia consacrata racchiusa in un ostensorio.
Una bella testimonianza delle processioni del Corpus Domini che si svolgevano a Sant’Angelo si trova nel libro “Diss che bèl e bèn…gh’èra ‘na volta” di Elena e Nino Semenza, che siamo lieti di offrire ai nostri lettori.
an.sal.

[…] Ma erano pur belle le nostre feste religiose, specie la processione del Corpus Domini cui partecipavano tutti, festanti, ognuno compreso nella sua parte; le vie cercavano di superarsi l’un l’altra nel pavesare i muri e le finestre con quanto di meglio c’era nei bauli delle mamme e delle nonne, che avevano preparato fin da piccole la “dòta” dai doviziosi ricami sulle lenzuola profumate di lavanda, sulle “finte” tutte un merletto per non parlare delle coperte pesantissime di picché ornate da certi pizzi e frange a uncinetto che ora varrebbero un patrimonio.
A destra e a sinistra di ogni strada percorsa dalla processione non restava scoperto un metro di muro; tutto era di un bianco abbagliante macchiato da mazzetti di oleandri rosa, carnicino, scarlatto, amaranto e di roselline muschiate. Dalle finestre delle stanze pendevano salviette e soppedanei che non sarebbero mai stati calpestati da piede umano perché sarebbero serviti sempre e soltanto per l’esposizione. A queste finestre si affacciavano le persone ammalate e gli anziani, che non si potevano muovere ma non volevano mancare al passaggio dell’Ostensorio sotto il baldacchino per ricevere la benedizione. Tutti i contradaioli grandi e piccoli, giovani e meno giovani si riversavano in strada per partecipare più da vicino che fosse possibile a quella cerimonia che era stata preparata per giorni e giorni.

Al passaggio del “Signùr” tenuto ben alto sulla folla dal sacerdote in veste candida e oro, nessuno si vergognava di mettersi in ginocchio e di farsi la Santacroce, mentre per scacciare il magòne che saliva commosso fino alla gola, cantavano a pieni polmoni i canti accompagnati dal suono della banda. E, tornata la processione in chiesa, c’era l’apoteosi finale culminante nella benedizione solenne. Per le strade, le massaie accaldate si fermavano a commentare tutte comprese del fervore religioso della festa cui avevano partecipato.
E intanto una parola tu, un’altra io, si ritirava ognuno il proprio addobbo e lo si buttava nel “segiòn dla bügàda” per imbiancarlo di nuovo; l’indomani si provvedeva a stirarlo con tanto di amido e lo si riponeva nel baule fino al prossimo anno. Se non altro questa biancheria da letto, tramandata di generazione in generazione e sempre arricchita di qualche nuovo capo, serviva alla pietà e a mettere in mostra, ogni anno, la bravura e “la pussessiòn” delle nostre brave compaesane.




A sinistra, la processione nei primi anni del ‘900 con i confratelli del Santissimo Sacramento che
portano il baldacchino;
sopra la partenza dal sagrato con don Nicola De Martino e il confratello Domenico Ravarelli (Pelbùna);
sotto la lunga fila con le bambine della prima comunione in via Madre Cabrini con le case addobbate dalle lenzuola;
più in basso a sinistra la sosta davanti alla
casa natale di Madre Cabrini con l’adorazione del Santissimo Sacramento.