“Sant’Angelo e dintorni”
La presentazione venerdì 19 gennaio alla sala della Banca Popolare di Lodi.
Il libro, che raccoglie i racconti di Pino Corsi, è un vero tuffo nella storia.

di Lorenzo Rinaldi

“In tutti questi articoli di giornale, che altro non sono che flash back di una Sant’Angelo che non c’è più, e che bene si attaglierebbero a un copione da film, si staglia anche lui, Pino Corsi, la cui eleganza innata gli permetteva di descrivere anche i fatti più tragici e incresciosi in punta di penna. Mai polemico, sempre sorridente. Un gran signore”.
Si chiude così la prefazione - dal titolo “Che il diavolo ti porti, Sant’Angelo” - che il direttore del “Cittadino” Ferruccio Pallavera ha scritto per il volume “Sant’Angelo e dintorni”, una bella raccolta di scritti del compianto Pino Corsi, apparsi per anni con puntualità sul Paginòn (inserto culturale del “Cittadino”) e in un caso sul nostro foglio, del quale Corsi era estimatore e amico.
La raccolta, fortemente voluta dal figlio Gianluigi come omaggio al papà, è stata presentata venerdì 19 gennaio a Sant’Angelo, nel salone della Banca Popolare di Lodi, ironia della sorte proprio dove sorgeva la casa Corsi (“teatro di giochi con i cugini e di lunghe tavolate per la cena della domenica”, ha ricordato Gianluigi), che non a caso è stata riprodotta sulla quarta di copertina.


un’immagine tratta dal libro, in cui sono ritratti, da sinistra Franco Conti,
Juan Manuel Borden, pilota di Formula 1 negli anni ‘60, Pino Corsi e Paolo Manzoni

Al tavolo dei relatori il direttore del “Cittadino”, Pallavera, l’amico Andrea Maietti (che ha firmato la seconda prefazione al volume, intitolata “Sant’Angelo e dintorni”), il figlio Gianluigi, affermato commercialista di Lodi, e il vicesindaco di Sant’Angelo, Antonio Lucini. A impreziosire la serata, la lettura di tre brani tratti dal libro, a opera di Antonio Saletta, che li ha selezionati con l’intento di regalare ai tanti presenti alcune “pennellate” della Sant’Angelo di un tempo e dei suoi protagonisti.
Tra gli altri, don Nicola De Martino, che figura spesso nei racconti di Corsi, sovente descritto come personaggio estroverso e intraprendente. Saletta ha preferito però segnalare al pubblico un don Nicola più intimo, proponendo il racconto di Corsi nel quale si disvela un sacerdote dal cuore nobile, che in maniera privata e lontano dai riflettori dona il suo cappotto a un malridotto “collega” della Riviera Ligure.


il tavolo dei relatori, da sinistra il vice sindaco Antonio Lucini, Ferruccio
Pallavera direttore de “Il Cittadino”, Gianluigi Corsi e lo scrittore Andrea Maietti.

La serata è stata organizzata due giorni dopo la festa di Sant’Antonio abate, nel giorno della ricorrenza di San Bassiano. Il primo, patrono di Sant’Angelo, dove Pino Corsi è nato, ha trascorso la giovinezza e ha mantenuto radici profonde; il secondo, patrono di Lodi, dove Corsi ha vissuto a lungo e si è spento. E tra i racconti proposti al pubblico, ecco allora quello dedicato al ritorno a Sant’Angelo di Corsi, ormai avanti negli anni, proprio in occasione della festa patronale (siamo nel 2004).
“Ci son volute una insperata giornata di sole e la consegna di una benemerenza civica all’amico di sempre, ex terzino del Milan, Felice “Pajon” Cerri (festeggiato calorosamente anche dalle sue bellissime quattro nipotine, tutte avviate a primeggiare in attività agonistiche) - scrive Corsi - per farmi passare per intiero il giorno del patrono a Sant’Angelo. Forse non mi succedeva da settant’anni, da quando mi dicevano che per avere “offelle” gratis bisognava tirare la barba della statua di Sant’Antonio, che però era troppo in alto per arrivarci e provarci”.

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un particolare del pubblico e la copertina del libro


Il libro si legge tutto d’un fiato, saltando di racconto in racconto, e - è opinione di chi scrive - le storie dedicate alla vecchia Sant’Angelo, le più numerose, offrono un gustosissimo affresco di una società che nel lungo periodo potrebbe essere destinata a scomparire sotto i colpi della modernità, ma le cui tradizioni oggi continuano ad affiorare e a essere custodite. Quello che invece già si è perso quasi del tutto è l’usanza delle “scumagne”, i soprannomi (talvolta estremamente coloriti, al limite dell’offesa) con i quali venivano chiamati gli appartenenti a numerosissime famiglie santangioline. Un’usanza che era anche un’esigenza pratica nei tempi addietro, quando in quartieri come la Costa i cognomi diffusi si contavano sulle dita di una mano e basta dare un’occhiata agli Stati d’Anime parrocchiali di fine Ottocento e inizio Novecento per rendersene conto. “Scumagne” che Corsi riprende e inserisce nei suoi scritti, contribuendo insieme ad altri autori, tra i quali Achille Mascheroni, a salvare un pezzo della storia “piccola” di Sant’Angelo.
“Quando, e tutti noi speriamo il più presto possibile - scrive ancora Pallavera nella prefazione al volume - qualcuno metterà mano alla storia di Sant’Angelo Lodigiano della seconda metà del Novecento, dovrà obbligatoriamente sfogliare questo libro. Che è uno scrigno più unico che raro, perché contiene un’incalcolabile ricchezza di notizie, storie, aneddoti, personaggi, luoghi. I libri di storia, soprattutto quelli che si occupano di vicende a noi vicine, non vengono più costruiti sull’unica solida base dei documenti, ma affondano le proprie radici anche nelle testimonianze di vita vissuta. Come quelle di Pino Corsi”.
Il volume è stato regalato ai presenti nella serata di presentazione e non è in vendita. Può essere recuperato contattando i parenti.

Uno dei cento articoli che Pino Corsi ha pubblicato su “Il Cittadino” tra il 1991 e il 2004, e che il figlio Gianluigi ha riunito nel libro. Il racconto, datato 7 dicembre 2000, intitolato dal curatore ' Qui Pasolini girò “Edipo Re”, è una rivisitazione da parte di Pino Corsi della Sant’Angelo di ieri con i numerosi negozi scomparsi, i personaggi, gli aneddoti e gli episodi lieti e tristi.

Qui Pasolini girò “Edipo Re”
Come sempre in uno dei giorni istituzionali lascio la macchina nel cortile di mio cognato (Samadoval) e mi incammino verso il cimitero attraverso le vie centrali del paese. Ogni angolo, ogni casa intatta o rifatta, ogni negozio sparito, è il ricordo di un amico o di un personaggio, di un aneddoto curioso, di un episodio allegro o drammatico noto solo a me o pubblico. È proprio vero che, come ho letto da qualche parte (“I pensieri intelligenti – ha scritto Goethe – sono già stati pensati prima”) il tempo più passa e più conferisce ai ricordi una magia che ne altera quasi del tutto i connotati. Ecco la casa già sede dell’Asilo Vigorelli dove bambino ho assistito a un “saggio” di fine anno con mia nonna e molto più tardi ho partecipato a “paciàde” memorabili a base di faraone e oche col caro Basilio Ferrari che l’aveva trasformata in sua abitazione. Di fronte alla chiesa di San Rocco ricordo ci abitava il “Diaul” e il piccolo mediatore “Mincòn” Cabrini, padre della mia “tata” Paolina e di quel Carlo (troppo presto scomparso e dimenticato dai suoi compaesani) che Ermanno Olmi aveva scelto quale interprete dei suoi “I fidanzati”. Carlo non si era montato la testa e al termine della ripresa era tornato al suo lavoro di operaio specializzato, pur se di tanto in tanto altri registi gli affidavano parti di comprimario. Sempre in tema cinematografico ecco immutata casa ex Gnocchi, scelta, con quella della mia famiglia, da Pier Paolo Pasolini per gli esterni di “Edipo Re”. È per me ancora un mistero il perché (o il “per chì”) Pasolini abbia privilegiato Sant’Angelo per quel film e per il successivo “Teorema”. Proseguo, ad ogni angolo dovrei rievocare qualcuno, ma lo spazio è tiranno. Passo il Lambro Morto, sempre più degno del nomignolo con cui lo indicarono i cartografi milanesi di quattro secoli or sono, “Merdarius”. Non trovo più la salumeria Ravera, il cui “patriarca”, prevedendo forse la moda attuale, portava un orecchino d’oro. C’è sempre la panetteria Latini. Ricordo il signor Carlo (pipì e poi dicì di ferro) aspettare al vespro ogni sera, nella bella stagione, la corriera di Lodi per accompagnare l’amico e compaesano mons. Borromeo, futuro vescovo di Pesaro, alla Borlenghi per Graffignana nei pressi del campo sportivo. Ecco la “Locanda San Giorgio con stallazzo” dove nella primavera del ’44 vidi riposarsi e nutrirsi parte dei cavalli trottatori che parteciparono alla non più ripetuta corsa sulla circonvallazione vinta da “Balignano”. Risalgo verso il centro costeggiando l’imponente castello Bolognini. Ricordo il tipografo Spazzini e il calzolaio piemontese Gazzo, ambedue sempre con grembiuli neri, la quasi immutata merceria dell’amico Piero Moiraghi, la trattoria Eusobio, la ferramenta degli amici Boggi sul cui gradone sedeva quotidianamente a vegetare il pacioso dott. Domenico Comaschi dalle battute intrise di saggezza filosofica. Ricordo la drogheria del povero Pasquale (Lino) Bassi al limitare della piazza, lo scomparso “scagno” del ricevitore postale (“el sciùr Ugo d’la Posta”), il negozietto dello ieratico solitario dal naso paonazzo Aristide Caprara (“Torno subito - sono alla Brocca”), i fratelli Fusari. Con nostalgia e rabbia rivedo l’irriconoscibile Caffè Gatti (altrove avrebbero ricostruito il vecchio caro “bistrot” pezzo per pezzo con i suoi tavolini, le specchiere, i suoi divani di velluto, le sue salette). Non ci sono più i negozi di Pierino Daccò, delle Prini, del ciclista Gatti, del “Purcelén”, del noleggiatore Ernesto Sara, di “Resegòtu” Cerri Manenti, col ricordo del recentemente scomparso figlio Angelo, sfortunato stravagante amico e dell’altrettanto caro suo collega e coetaneo Tino Morosini, il cui padre teneva in piazza, nei pressi della salumeria Giannini, negozio di orologiaio, ritrovo tradizionale di generazioni di ciclisti, dal vidardino Ingesti al saleranino Scudellaro. Ecco la via Umberto . Quanti negozi trasformati. Ricordo: i tre panettieri Formenti, Scolari e Carinelli, il bar di Marcèl, lo scorbutico giornalaio Cesari, il bastian contrario Fedele Cerri dell’“Unica”, la merceria di Anita e Nesto Rozza, la salumeria Vaccarini, “Cècu” Scarioni, il barbiere Cavallini, alias “Babuién”, che “tosò” le tre fedifraghe che avevano intrattenuto relazioni “pubiche con repubblichini e tedeschi”. Ma soprattutto la via Umberto è la via dove abitavano il ventenne Egidio Senna e il tenente Battista Oppio caduti in Russia e il martire della libertà Umberto Biancardi. Ecco la “mia” piazza, Ci sono sempre il monumento ai Caduti, la casa di Altrocchi e quella dietro la Crocetta all’angolo con via Cabrini. Non ci sono più il negozio dell’euforico Ugo Bondioli, la casa dove sono nato, quella dei Cerri nel cui orto cadde l’unica bomba di tutta la guerra su Sant’Angelo (la povera “Bumbardàda”!), quello dello stravagante e pio nostro cugino Luigione, ove c’era l’ufficetto Stipel. Continuo verso Contradella. Ricordo il ciabattino “el Birla” e Bruno Leopardi “el Mantuàn”, pilota che omaggiava la fidanzata con spericolate discese aeree sulla sua casa. Prima (o dopo?) l’osteria di “Gabriél d’la Toia” anch’essa scomparsa c’era la misera abitazione del patetico “Giülai”, poco puntuale inquilino della madre della bella Rosetta che turbò i sonni di parecchie generazioni di barasini. Dall’angolo con via Diaz e di fronte all’ingresso dell’allora cascina Basellina abitava e lavorava il lattaio Locatelli, che aveva figli che allora parevano altissimi, Guido (”Düpiàn”) e Tonino e che ora sarebbero normalissimi. È scomparsa, oltre alla Basellina, anche la “Cua”. Sono quasi arrivato al cimitero. Ecco la stradina che porta alla Branduzza, col ricordo del cartello che per un po’ di tempo rimase affisso al cancello d’ingresso: “Vietato l’accesso agli zingari, ai venditori ambulanti e al mediatore Magri, detto “el Tenentén”, che tanto divertì Piero Chiara quando glielo raccontai. Entro al cimitero e faccio il solito giro alla ricerca di nomi e volti vecchi e nuovi. Forse perché così recenti e repentine sono state le scomparse di alcuni fra i miei migliori amici mai come stavolta la consueta passeggiata “pellegrinaggio” ha assunto significati mai prima provati. Mi è parso nel camminare e nel ricordare nomi e cose di non essere solo ma di avere accanto a me altre presenze che mi aiutavano e suggerivano particolari che mi sarebbero forse sfuggiti.
Pino Corsi