Il sacrificio dei giovani Polli e Daccò
Un libro dedicato ai “pompieri partigiani” ricostruisce le vicende di Antonio Daccò, che nel 1944 scelse la strada delle montagne
Aggregati al movimento di Giustizia e Libertà alla fine della Seconda Guerra Mondiale, furono brutalmente uccisi dai nazifascisti nell’Oltrepò Pavese


“Alla fine di settembre verrà presentato a Lodi un volume a cura dell’Anpi e dei Vigili del Fuoco che tratteggia le figure dei pompieri partigiani. Tra questi anche il santangiolino Antonio Daccò. Per questa occasione Marco Danelli ci ha fatto pervenire l’ampio articolo che di seguito pubblichiamo, dedicato ad Antonio Daccò e Battista Polli, santangiolini inquadrati tra le fila di Giustizia e Libertà e morti per mano nemica in Oltrepò. Il sacrificio di Antonio Daccò e Battista Polli è ricordato a Sant’Angelo con un cippo posto nell’omonima via. Marco Danelli è vigile del fuoco volontario al distaccamento di Sant’Angelo Lodigiano, appassionato di storia, il padre ha militato fra le fila del movimento partigiano”

di Marco Danelli

Antonio Daccò nasce a Sant’Angelo Lodigiano in via Statuto 42 il 4 maggio 1925 in una famiglia povera. La sua è una giovinezza vissuta tra genitori e lavoro, si può solo tentare di spiegarlo perché da lui, schivo per natura, si hanno pochi riferimenti. Suo padre, Luigi Marco Daccò, è mungitore alla cascina Musella, la madre Santina Zecca è casalinga, nata a Villanterio. La sua è una famiglia numerosa, il primo nato è Francesco ma muore a soli 2 anni per meningite, il secondo è Antonio, dopo nascono il fratello Francesco (classe 1928) che prende il nome del primogenito, seguono le sorelle Erminia (classe 1931) e Luigia (classe 1935), infine Pietro, classe 1939. Antonio frequenta la quinta elementare nella scuola di via Statuto, viene iscritto come tutti i ragazzi alla GIL (Gioventù italiana del littorio) locale e dopo alcune esperienze lavorative, per contribuire al sostentamento della famiglia, trova impiego come operaio nella fabbrica fonderia di Medetti Battista in via Mazzini.
Compiuti i 18 anni, appoggiato dal comandante dei pompieri di Sant’Angelo (Battista Pasetti), entra a far parte dei Vigili del Fuoco di Milano: il 24 febbraio 1943 viene assunto con la qualifica di Vigile Volontario Provvisorio e frequenta il corso al distaccamento di Lissone concentramento, dopo aver superato la prova quindicinale. Viene trasferito nella caserma di Castelvetro e l’8 aprile 1943 viene dislocato presso la caserma di Sant’Angelo, nel suo paese natio, in piazza Ospedale 1. Gli allarmi notturni e diurni sono frequenti in provincia, si sviluppano numerosi incendi a causa dei bombardamenti e degli spezzoni incendiari. Su Milano continuano le incursioni, impegnando i nostri Vigili quasi tutti i giorni, il soccorso alla gente non conosce sosta.

Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 il conflitto con gli alleati anglo-americani cessa. Privi di riferimenti istituzionali e di ordini superiori, molti abbandonano le caserme per sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi. Antonio continua il servizio nei Vigili del Fuoco, la situazione però si aggrava: con il ricostituito Governo Fascista si riprende la guerra al fianco della Germania nazista. Il 9 novembre la Repubblica di Salò chiama alle armi i coscritti delle classi 1924 -1925 e nel dicembre 1943 arriva per Daccò, dal Ministero della Difesa Nazionale, il richiamo alle armi nell’esercito di Mussolini con la matricola n°17843
Il comando dei Vigili del Fuoco non può far altro che dimetterlo in data 6 dicembre 1943 e con molto rammarico Daccò lascia il servizio. Per lui le alternative sono infatti la minaccia della fucilazione o l’internamento in Germania. Così nel febbraio 1944 si presenta al Terzo Reggimento Genio, sezione antincendi, a Pavia, per assolvere al dovere militare, ma davanti alla prospettiva di combattere opta per la disobbedienza: viene disposto il suo trasferimento in zona di guerra, Daccò non si presenta più in caserma, disertando, e questa decisione lo costringe alla clandestinità. La situazione però è diventata pericolosa anche a Sant’Angelo, in quei giorni infatti vengono effettuati grandi rastrellamenti da parte dei fascisti per reperire soldati, il pericolo è costante e per questo Daccò decide di allontanarsi dal paese, seguendo altri giovani santangiolini che raggiungevano le formazioni partigiane dell’Oltrepò Pavese in luoghi più sicuri.
Si presume che in quell’occasione fa amicizia con Battista Polli, compagno di “sventura”, nato a Sant’Angelo Lodigiano il 6 ottobre 1926. Il padre Stefano è dipendente comunale (spazzino e autista d’innaffiatrici), la madre Pasqualina Furiosi è morta da alcuni anni; aveva una seconda madre detta Gina. Battista, primogenito di due sorelle Geromina e Domenica (Minchina), abita in un cortile di via Diaz e lavora come marmista nella ditta di Pasqua in via Madre Cabrini. È renitente al richiamo della Repubblica Sociale. La sera dell’8 novembre 1944 Polli e Daccò salgono su un autocarro (dell’osteria Brocca) e si nascondono all’interno di botti vuote per sfuggire ad eventuali controlli durante il tragitto. Partono in direzione della sede del comando della Sesta Brigata Giustizia e Libertà di Romagnese, di cui Giovanni Antoninetti è il capitano. Il partigiano Franco Lombardi (santangiolino) ricorda l’arrivo dei due compaesani: “Venivano informati della pericolosità di quei giorni e in seguito furono inquadrati e assegnati ad un distaccamento limitrofo della Sesta Brigata Giustizia e Libertà”.
La voce di una grande offensiva tedesca contro i partigiani si sparge intorno al 22 novembre. Si sa solo che nella zona di Stradella si è schierato un forte contingente di tedeschi, della divisione Turkestan, accompagnato dalle divisioni fasciste Littorio e San Marco e dalle Brigate nere. La divisione è composta per tre quarti da mongoli e cosacchi. All’alba del 23 novembre, l’artiglieria tedesca comincia a colpire le postazioni della resistenza e continua ad avanzare per infierire sistematicamente sulla popolazione civile. Il rastrellamento marcia su due linee, da Rottofreno sulla statale della Val Tidone e da Casteggio, in modo da tagliare l’Oltrepò Pavese. In quel periodo in tutta la zona sono dislocate decine di distaccamenti delle varie formazioni partigiane. Il 25 novembre tedeschi e fascisti puntano su Romagnese e decidono di attaccare e ripulire con un grande rastrellamento tutta la zona, per reprimere la resistenza delle formazioni partigiane. Davanti ad un attacco massiccio, i comandanti partigiani decidono di arrestare l’avanzata dei tedeschi in una località particolarmente idonea, detta Lagone, poco lontano da Faraneto, ma dopo un aspro combattimento un gruppo di nazifascisti staccandosi dalla grande formazione risale lungo il torrente Curiasca e arriva nelle vicinanze di Faraneto. Impossibile per i partigiani reggere l’urto. Dopo alcune ore di scontro i partigiani indietreggiano e si attestano a Coli e Peli, sulle colline che sovrastano Bobbio. Viene deciso un arretramento per vie montuose in piccoli gruppi per poter riuscire a passare nei punti di minor controllo dei tedeschi. Cessato il fuoco dei partigiani, inizia la rappresaglia nazifascista, che si abbatte sulle località Cornaro, Pescina, Fossoli, Costiere e Averaldi di Peli. Il 28 novembre 1944 i tedeschi prendono possesso della valle. Scrive il partigiano Michele Tosi nel suo diario: “La popolazione civile portò senza dubbio il peso più gravoso...”.
Su quello che accade a Polli e Daccò non ci sono testimonianze dirette, ma quasi certamente i due ragazzi tentano di mettersi in salvo. Mentre alcuni decidono di scendere verso valle in cerca di un possibile varco da quella gigantesca trappola, i due santangiolini rimangono indietro, isolati, e si riparano in un fienile, ma vengono sorpresi quando viene dato alle fiamme. Si può ipotizzare che dopo essere stati catturati vengono sottoposti a interrogatorio e poi barbaramente uccisi.
Ecco la testimonianza di Natale Grassi: “Quando è venuto il rastrellamento e hanno bruciato le case ad Averaldi, hanno preso due ragazzi di Sant’Angelo Lodigiano renitenti alla leva che si erano nascosti lì. E li hanno ammazzati di botte. Toccare il loro cranio era come toccare un sacchetto di riso … mi sono passati tra le braccia, perché li abbiamo seppelliti qui, insieme al partigiano Baciccia, morto nei combattimenti a Fanareto. Noi uomini siamo scappati tutti fino a che non se ne sono andati…”.
Solo due giorni dopo si conosceranno i loro nomi: Battista Polli e Antonio Daccò, la data di morte non è determinabile con precisione ma viene indicata verosimilmente il 28 novembre. “Dopo il rastrellamento - ricorda ancora Natale - furono portati in braccio nella cappella dell’oratorio di Cornaro dedicato a San Rocco, che distava circa 100 metri, poi costruite due bare alla meglio sono stati sepolti…”.
Alcuni mesi dopo la fine della guerra, con un autocarro, il padre Luigi Marco Daccò e i familiari di Polli salgono a Peli per recuperare le spoglie dei due giovani e portarle a Sant’Angelo. Nel luogo del ritrovamento, un cippo è stato eretto a memoria dei due patrioti che per venti giorni hanno combattuto per la libertà. Ora il cippo si trova in una via a loro dedicata a Sant’Angelo Lodigiano, via Polli e Daccò, mentre i loro corpi riposano al cimitero, nella cappella dei caduti di tutte le guerre.

Fonti:
- Intervista al fratello Daccò Francesco
- Archivio di Stato Milano, fogli matricolari
- Archivio storico Comando dei Vigili del Fuoco Milano, cartella personale

 

IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano

 

 

 

 

 




In alto: Antonio
Daccò, Battista Polli,
a sinistra il cippo eretto a Peli in ricordo
delle due vittime
Sopra: particolare del cippo
dedicato a Antonio Daccò