Torna a risplendere l’antico tempio

I restauri della chiesa di San Bartolomeo


Il Medio Evo è per Sant’Angelo un periodo di trasformazioni urbane: da un insieme di abitazioni sparse e strutture difensive modeste, si passa infatti ad una articolata entità territoriale, capace di attirare a se nuovi abitanti.
Racchiuso all’interno di una cinta muraria nasce così il Borgo fortificato di Sant’Angelo, con al centro la Piazza, il Castello, la Chiesa. In questa entità territoriale, i nuovi arrivati, non potendo insediarsi all’interno della cerchia, trovano collocazione nelle aree esterne, dando vita a nuovi agglomerati urbani.
Nascono i borghi esterni che, come sempre accade nelle espansioni urbane del Medio Evo, vengono identificate con il santo della chiesa o cappella site nell’ambito territoriale del borgo: nascono così, anche a Sant’Angelo, il Borgo di San Rocco, il Borgo di Santa Maria, il Borgo di San Martino.
Tuttavia, per quest’ultimo, si verifica una situazione sotto certi aspetti anomala e curiosa: nonostante il borgo sia noto come “Borgo San Martino”, in sintonia con uno dei santi titolari della chiesa, tuttavia la stessa è comunemente chiamata chiesa di San Bartolomeo.


L’interno della chiesa di San Bartolomeo

Le prime notizie sulla chiesa di San Bartolomeo si hanno da un documento del Codice Diplomatico Laudense risalente al XIII sec. dove compare una chiesa plebana nel borgo di San Martino in Stabiello. Notizie più dettagliate si hanno a partire dalla meta del 1500, a seguito delle relazioni per le “visite pastorali” .
La chiesa, così come ci si presenta ad oggi, non dovrebbe discostarsi molto da quella cinquecentesca, poiché la planimetria riprende schemi architettonici largamente utilizzati per edifici religiosi di secondaria rilevanza.
L’interno si presenta ad unica navata con presbiterio semicircolare, copertura a botte e due piccole cappelle laterali, dedicate a San Mauro e a Santa Francesca Cabrini.
Senza alcun dubbio l’elemento di maggior interesse è il pregevole altare in marmi policromi, qui posto nel 1812 e proveniente da una chiesa soppressa; mentre all’interno di una cornice in marmo posta al disopra del tabernacolo, trova collocazione una grande statua della Madonna Addolorata (1887).
Altro aspetto di particolare interesse sono le decorazione a stucco di gusto settecentesco, restaurate e “ritoccate” agli inizi del ‘900 dal pittore bergamasco Carelli e nel 1951 dal lodigiano Minestra.
Le modanature a stucco della volta e delle pareti fanno da cornice a pitture che propongono immagini consuete, la Vergine Maria, San Pietro, San Paolo, gli Evangelisti ma nessun dipinto in onore di San Martino ne tanto meno di San Bartolomeo.
Per trovare spiegazione a queste incongruenze non esiste miglior metodo che indagare direttamente sulla struttura della chiesa e grazie ai restauri recentemente iniziati si potrà dare risposta ad alcuni dubbi, o forse se ne presenteranno di nuovi.
Il progetto di restauro è suddiviso in varie fasi.
Nella prima fase si prevede la messa in sicurezza delle porzioni di intonaco che presentano una grave situazione di degrado. Numerosi sono infatti i sollevamenti e i distacchi di intonaco provocati da infiltrazioni d’acqua, le quali hanno portato alla formazione di rigonfiamenti sulle superfici ad intonachino e affrescate.
Per quanto attiene all’apparato decorativo si opererà con la messa in sicurezza delle porzioni di impianto decorativo decoeso e successivamente con la consolidazione della superficie policroma e dell'intonaco. Anche gli elementi lignei saranno interessati da un recupero strutturale delle parti degradate.
Durante questa nuova campagna di restauro, condotta dalla bottega di Domenico Cretti sono emersi interessanti particolari che fanno pensare alla mano di artisti dalla consolidata esperienza nel campo pittorico e con approfondite conoscenze del modellato e dei materiali: si auspica pertanto di acquisire elementi che permettano la risoluzione dei problemi di natura critica ed attributiva della produzione artistica dei dipinti e decorazioni che attualmente non trovano documentazione nelle carte d’archivio.
Beppe Roberti


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