Conosciamo davvero i nostri ragazzi?


Riflessioni e proposte sui giovani del territorio santangiolino


Senza modelli di riferimento
“Non è un paese per vecchi” è il titolo di un romanzo dello scrittore americano Cormac McCarthy, qualche tempo fa reso magistralmente in un film dai fratelli Coen. Piacerebbe dirlo anche a noi, non di certo nel senso di quel luogo che non ha tempo di invecchiare, per la violenza di un contesto in cui è facile morire. Ci piacerebbe piuttosto affermarlo come lo slogan di un paese che potesse ritrovare linfa vitale nelle sue nuove generazioni, accompagnarle al domani con un sano confronto critico che ne capisse le aspirazioni. Ma non è il caso dell’Italia dove, per dirla con il cardinale Bagnasco, c’è pure il rischio di un “suicidio demografico”.
Il problema principale non è che i giovani siano pochi (quasi fisiologico in aree “altamente sviluppate”). È che anche quei pochi che ci sono rischiano di non avere voce in capitolo, e neppure essere coscienti di averla. Inabissati da una serie di politiche che non

Intercettare le loro domande
“I giovani portano sogni, non sono per niente un incubo”, così mi scriveva un amico qualche tempo fa. È vero, l’età giovanile è il periodo delle speranze, degli ideali, dei progetti, dello slancio verso la costruzione della propria identità personale, del proprio futuro; la giovinezza è la fase della vita durante la quale si parte alla ricerca del proprio posto nel mondo. I giovani della nostra città si specchiano in questa serie di definizioni? Di che cosa si interessano i giovani santangiolini? Dove vivono? Come vivono le loro relazioni? Cosa criticano e quale impegno pretendono da noi adulti? Parecchi adulti, anche tra coloro che si ritengono addetti ai lavori, definiscono i giovani a partire dalla categoria del disagio, si sente parlare di età incompiuta, di generazione liquida, di “bamboccioni …”.
Certamente il metodo giusto non è predicare alla gioventù come deve vivere per poi giudicarla con l’intenzione di cercare di “catturare” solo coloro che

investono su di loro, anestetizzati da una tv d’intrattenimento demenziale anziché di informazione, illusi da un benessere diffuso in cui piace ritrovarsi, ma non sempre consapevoli delle problematiche di per sé percepite a cui poter cercare soluzioni vere (si veda il recente “sdoganamento” della cannabis o il pur sempre diffuso fenomeno dell’alcolismo tra gli adolescenti). Non sia mai poi che tale remota capacità critica si sviluppi attraverso il rafforzamento della sola istituzione ufficiale adibita a garantirne i possibili cenni culturali in merito, quella scuola ultimamente martoriata non solo dai tagli, ma persino dall’ipotesi di farne un “club” funzionale alle vacanze, aperto a settembre o ottobre a seconda di come va il tempo.
Ecco allora quanto sembra far comodo a chi sopra di noi, sostituendosi al pensiero di chi invece potrebbe essere il futuro del paese con idee diverse, inibendo questa risorsa spesso massificata in accezioni negative, sì da poter essere manipolata secondo le esigenze.
C’è allora il rischio attuale di una chiusura nei confronti di quella che è senz’altro un’altra minoranza della nostra società, non di emarginati, extracomunitari o poveri, ma di coloro i quali, di diversa estrazione sociale, sesso, lingua e religione, non sono più bambini, e neppure adulti. L’effetto contrario dell’evolversi dei tempi viene reso reciprocamente da tale categoria sociale nei confronti degli adulti stessi, attraverso un’intolleranza giovanile individuabile nell’assenza di modelli di riferimento autorevoli, al venir meno della presenza solida della famiglia o della scuola, e della costruzione di una propria identità nella contrapposizione.
È questo uno degli elementi alla radice dei comportamenti devianti, come è emerso anche da un articolo sui giovani e la droga nel Lodigiano da Il Cittadino di qualche settimana fa. Sicché il processo d’identificazione in una delle parti contrapposte oggi non è più così immediato, ed è così che i giovani cercano di uniformarsi e non di distinguersi, di avere ciò che ha chi ha di più e rappresenta status univoci, come ad esempio certi modelli televisivi, senza possibilità di scelta che non sia il benessere individuale. Le istituzioni si facciano allora ricettive della voce dei giovani, ne facciano emergere più frequentemente un confronto interno anche attraverso dei canali non ufficiali, cercando di crearne piuttosto la diversificazione degli interessi, per quella ricchezza di formule espressive, tra musica, politica e quant’altro, che un tempo hanno offerto delle garanzie di scelta e un maggior riscatto sociale per le generazioni future. Forse solo così allora, potremo ambire ad una vecchiaia tranquilla.
Matteo Fratti.


rispettano le nostre regole e le nostre idee.
La comunicazione con i giovani, anche a Sant’Angelo, deve cominciare in assoluta libertà, la prospettiva del dialogo indica nuovi progetti e ispira passi condivisi.
Il problema, per noi educatori, è quello di riuscire ad intercettare le domande e le contraddizioni dell’universo giovanile perché non è semplice creare momenti di incontro che abbiano l’impronta della verità, della libertà, della significatività. Purtroppo le occasioni più frequenti di incontro avvengono, anche nella nostra piccola città, al centro commerciale, luogo dove il dialogo e il confronto sono spezzati dalla frenesia e dalla superficialità tipiche dei non – luoghi. E allora che cosa ci rimane?
Ci rimane molto perché abbiamo l’opportunità di entrare nella scuola con progetti sempre più efficaci e mirati, ci rimane il lavoro prezioso degli Oratori, unici luoghi di Sant’Angelo nei quali c’è il tentativo di elaborare un progetto che tenga conto della dimensione formativa e di quella aggregativa, ci rimangono le associazioni di volontariato che agiscono nel mondo della cultura e del sociale.
Ora qualche questione aperta che, mi pare, meriti una riflessione ulteriore, magari sulle prossime colonne di questo giornale.
- Quali sono gli stili di vita ai quali vengono educati i giovani santangiolini?
- Quale ruolo vogliono giocare i genitori nel percorso educativo e formativo dei loro figli?
- Chi, in Città, svolge il ruolo di osservatore dei fenomeni, delle risorse e delle dinamiche legate all’evoluzione del mondo giovanile?
- E i giovani stranieri? Chi sono? Che cosa fanno? Soprattutto, che cosa pensano?
Forse queste poche righe contengono troppi interrogativi, ma credo che porsi con verità e decisione la domanda sia il primo gradino per cercare una primordiale risposta, ricordandoci che… I giovani portano sogni, non sono per niente un incubo.
Don Giancarlo Baroni

 

 

 

 

 

 

 


IL PONTE - foglio d'informazione locale di Sant'Angelo Lodigiano