Crisi e immigrati sotto la lente dei nostri parroci

Monsignor Gianfranco Fogliazza e don Pierluigi Leva, responsabili delle parrocchie cittadine a colloquio con il “Il Ponte”


Le difficoltà delle famiglie, i problemi dei giovani, i rapporti con gli stranieri e le altre religioni, alla fine di un anno che ha scosso la nostra comunità

Dopo la lunga parentesi dedicata alla amministrazione pubblica (comune e provincia) i Forum de “Il Ponte” escono ora dai palazzi del potere e si rivolgono alla società civile e religiosa. Per questo numero natalizio abbiamo voluto incontrare due protagonisti d’eccezione della nostra comunità: i parroci di Sant’Angelo.
Monsignor Gianfranco Fogliazza che da tre anni guida la parrocchia dei Santi Antonio Abate e Francesca Cabrini e don Pierluigi Leva, parroco delle parrocchie di Maria Madre della Chiesa nel quartiere San Rocco e di Santo Stefano nella frazione Maiano, residente in città da quasi 10 anni.
Li abbiamo incontrati separatamente a causa della difficoltà a trovare uno spazio comune nella loro fitta agenda ma abbiamo fatto loro le stesse domande su come vedono Sant’Angelo dal loro speciale osservatorio.

Fra poco è Natale, un periodo che in un momento di crisi farà emergere ancora di più i contrasti. Allora vorremmo iniziare proprio chiedendo le sue impressioni su come Sant’Angelo vive la crisi economica.
(monsignor Fogliazza): Indubbiamente si nota una grande difficoltà per le famiglie. Fino a poco tempo fa il tema principale del disagio era il rapporto genitori - figli. Oggi diventa predominante la preoccupazione fi-nanziaria. In molti dicono di non farcela ad arrivare a fine mese e i pensieri sono dominati dall’incertezza del lavoro. Oppure dalla mancanza di una occupazione, specie per i giovani che giustamente cercano di mettere a profitto l’impegno di studio, penso ai laureati, ma che talvolta faticano ad adattarsi a determinati lavori.
(don Leva): Fino a questo momento la crisi ha colpito particolarmente le famiglie straniere, almeno quelle che in forza di un lavoro abbastanza stabile, spesso presso cooperative, avevano preso impegni importanti. Penso ad esempio agli immigrati che hanno potuto permettersi l’acquisto di case con l’accensione di un mutuo che copriva quasi il 100% del costo, come era prassi nelle banche fino all’anno scorso. Venendo meno parte del loro reddito hanno subìto un immediato contraccolpo a rischio di perdere tutto.

Ci può dire in quale modo la parrocchia raccoglie i problemi della comunità e quali risposte vengono date?
(monsignor Fogliazza): Il disagio si può cogliere anche semplicemente girando per la parrocchia, qui come dappertutto.
Circa una decina di famiglie sono però venute direttamente a chiedere di poter accedere ai fondi messi a disposizione dalla Diocesi: per sei di queste la richiesta è andata a buon fine, si tratta di famiglie nelle quali si era recentemente perso il posto di lavoro. Devo dire che oltre all’aiuto materiale è stato molto apprezzata la solidarietà umana, il non sentirsi abbandonati nella difficoltà.
Per il resto le file alle Acli e al Fac (l’ufficio parrocchiale preposto agli aiuti delle persone in difficoltà), parlano da sole. Grande è la richiesta di beni alimentari e di vestiario, ma devo sottolineare un aspetto che non vale solo per l’utenza straniera: mi sembra che ci sia bisogno di una maggior educazione domestica. Mi spiego: molti sembrano non capire che gli utensili e i vestiti si devono lavare. Certi non sanno nemmeno fare il bucato, buttano via i vestiti dopo averli usati e poi vengono a chiederne altri! Poi c’è anche la richiesta di piccoli aiuti economici: magari diamo un euro e li indirizziamo al distributore del latte, oppure ci chiedono i soldi per comperare il pane.
Sono situazioni difficili che cerchiamo di affrontare sempre con l’attenzione a dare il necessario e non il superfluo.

(don Leva): A San Rocco da qualche tempo abbiamo attivato un centro di ascolto Caritas che permette di raccogliere i bisogni e organizzare al meglio le risposte. In questo centro di ascolto sono presenti diversi volontari che conoscono bene il nostro paese e sono anche in grado di gestire chi cerca di fare il furbo. Gli aiuti sono principalmente di due tipi: da una parte il fondo di solidarietà diocesano con il quale abbiamo potuto raggiungere una decina di famiglie (alcune anche italiane). Per chi ne è escluso (l’accesso al fondo è riservato a casi con precise caratteristiche), si interviene con un aiuto in vestiario e alimentare: la Caritas di San Rocco distribuisce circa 40 borse al mese prevalentemente all’utenza straniera che chiede questo aiuto con più facilità rispetto agli italiani.
Chiedere è, infatti, più difficile per un italiano: c’è una grande dignità nelle persone che si trovano in improvvisa difficoltà a causa della perdita del lavoro. Qualcuno cerca il contatto personale con me, altri li ho sollecitati a venire dopo aver sentito le loro storie in occasione della benedizione delle case; qualcuno è venuto una volta e poi non si è più presentato. Per questi casi in Caritas ci interroghiamo per trovare le forme di aiuto più adatte che salvaguardino nel contempo la dignità e la privacy di queste persone che mai, nella loro vita, avrebbero pensato di trovarsi in questa condizione.

Ci sono in atto contatti o collaborazioni fra le parrocchie e l’amministrazione comunale per meglio affrontare la situazione?
(monsignor Fogliazza): No, ma talvolta, quando si presentano tematiche troppo grosse, problemi legati alla casa o alla scuola, mi capita di indirizzare le persone all’assistente sociale. Altre volte mi sento anche dire che è stato l’assistente sociale a in-dirizzare le persone da noi.
(don Leva): Non c’è un vero rapporto che consenta di monitorare i bisogni; ognuno si organizza a modo proprio. Può però capitare che il Comune ci segnali dei casi, o chieda ad esempio l’accoglienza di alcuni ragazzi al Grest parrocchiale.

Il rapporto con gli stranieri è dominato dal tema della mancata integrazione a causa delle differenze culturali o per la tendenza dei gruppi etnici ad isolarsi, lei che impressione ha?
(monsignor Fogliazza): Io per scelta tendo a salutare tutti e noto che quando ci si saluta e ci si ferma a scambiare qualche parola si crea una relazione. Con questa viene il superamento della diffidenza e della paura, anche della paura di quello che potrebbero dire di noi i nostri concittadini… Poi con le visite alle famiglie in occasione della benedizione delle case forse ho una possibilità di conoscenza in più. Sia gli ortodossi che i musulmani sono cortesi, i primi magari ad accettare comunque la benedizione e i secondi semplicemente a ringraziare per la visita.
(don Leva): Il mondo dell’immigrazione non è un tutt’uno. Non si può parlare genericamente di stranieri. Ci sono situazioni diverse che sono rapportate non solo alle etnie ma anche alle singole nazionalità. Ciò detto è evidente che la concentrazione di stranieri in alcune zone aumenti la fatica dell’integrazione: il quartiere San Rocco in questo senso è emblematico, se pensiamo a via Garibaldi, a via Cavour, a viale Zara per non parlare del Pilota dove le case che vengono liberate dagli italiani sono quasi tutte acquistate o affittate a stranieri.
Mi pare che con gli stranieri si stiano ripercorrendo gli stessi errori fatti negli anni settanta, quando si sono concentrate nei nuovi quartieri popolari diverse famiglie problematiche. Non stupiamoci poi della disgregazione sociale, dell’abbruttimento dell’ambiente, della delinquenza che ne può nascere.

Vediamo che ci sono diversi extracomunitari che frequentano la chiesa, probabilmente sono quelli di religione cattolica. Almeno con questi ritiene che la religione possa diventare una delle chiavi dell’integrazione?
(monsignor Fogliazza): In teoria direi di si, nella pratica le cose sono un po’ più complicate. Penso ad esempio al gruppo degli africani per i quali noto molta discontinuità nel rapporto con la Chiesa. Ma forse è colpa nostra, che siamo bravi ad andare in missione ma non sappiamo ancora gestire queste situazioni da noi.
Devo però ricordare che un paio di tentativi di don Angelo Daccò di riunire le comunità africane anglofone e francofone a Sant’Angelo sono andati deserti.

(don Leva): Grazie a don Giulio Mosca abbiamo fatto il tentativo di coinvolgere gli immigrati di lingua spagnola provenienti dall’America Latina: devo però dire che non siamo andati oltre a relazioni individuali. I tempi non sono ancora maturi neanche per una integrazione mediata dalla fede: non basta una lingua comune per superare le tradizioni nazionali spesso contaminate dalla presenza di sette religiose.
Tutto un discorso a parte deve essere invece fatto per il rapporto con persone di fede islamica. In questo caso la regola deve essere quella del rispetto reciproco nella chiarezza.
Faccio qualche esempio: l’oratorio è chiuso durante le ore di catechesi per dare il segno che questo è principalmente un luogo di educazione cattolica: solo dopo la catechesi tutti sono i benvenuti. Altro esempio, quando facciamo il Grest, al quale partecipano tanti ragazzi musulmani, avvisiamo i loro genitori che alle 9.30 è previsto un momento di preghiera: chi non vuole può portare il figlio più tardi. Come pure siamo precisi nel fornire indicazioni sul menu per consentire il rispetto dei loro precetti. Devo dire che con questa impostazione di chiarezza non abbiamo mai avuto problemi.
Nemmeno con i cristiani ortodossi ci sono facilitazioni, un po’ perché essi fanno riferimento ai loro pastori, un po’ per il difficile rapporto con le stesse chiese ortodosse che ci accusano di proselitismo, tanto che l’eventuale passaggio di rito, dall’ortodosso al cattolico, deve essere autorizzato dalla Santa Sede.
In sintesi l’unica esperienza di avvicinamento che la chiesa cattolica può mettere in campo con gli immigrati è la testimonianza della carità. Una carità intelligente, non fatta a pioggia né in modo assistenzialista.
Seguiamo l’insegnamento di Gesù “Perché avevo fame, e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell’acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa...” per aiutare queste persone ad affrancarsi dal bisogno e a camminare con le proprie gambe.


Cambiamo completamente argomento: che giudizio dà dei vandalismi cui anche la chiesa è stata vittima recentemente? Ricordiamo le scritte sui muri e sulle porte della basilica, i danni all’oratorio San Luigi, l’incursione nel Chiesuolo, l’allagamento alla scuola media a San Rocco…
(monsignor Fogliazza): Onestamente devo dire di esserne stato veramente impressionato. Quando sono arrivato nel 1992 a Spino d’Adda ho subìto, in un anno e mezzo, 11 furti. Eppure ne sono rimasto meno colpito: capisco che qualcuno possa andare a rubare in una casa o in una chiesa: ne trae vantaggio. Ma la pervicace stupidità di giovani del paese nel fare dispetti, di spaccare tutto… perché? Detto questo ritengo che sia opera di un gruppuscolo di teppisti abbastanza isolati: non mi sembra che il sottofondo del paese sia degradato.
Mi arrabbio però anche quando vedo qualcuno urinare sui muri della chiesa e non si tratta solo di ubriachi: qualche giorno fa un bambino straniero mi ha chiesto come mai non c’era un gabinetto pubblico per fare pipì. Se l’ha capito un bambino….

(don Leva): Ho l’impressione che a Sant’Angelo ci sia una sacca importante di dispersione scolastica. Si tratta di ragazzi che a vario titolo potremmo definire esclusi. Non sono seguiti dalle famiglie, sono stati promossi di gran carriera alle medie quasi per toglierseli di torno, non hanno voglia di impegnarsi nemmeno nello sport. Non lavorano e si annoiano.
È qui che vanno cercate le ragioni di certi gesti e occorre proseguire l’azione di recupero sociale con interventi strutturati che riportino questi ragazzi dove devono stare: a scuola o al lavoro.
Non si può pensare che sia l’oratorio a supplire a tutte queste mancanze, noi possiamo collaborare al processo di educazione ma non possiamo dimenticare che chi viene da noi deve aderire ad una proposta, deve sviluppare delle relazioni. Non possiamo permettere che l’oratorio diventi ricettacolo di cattivo esempio per gli altri ragazzi.

Ci interessa anche il suo giudizio sul piano civile su questo 2009 che è stato un anno particolarmente segnato, se pensiamo che è iniziato con la notizia dell’omicidio Girati ed è finito con gli arresti di alcuni funzionari comunali per la gestione dell’appalto sui rifiuti. C’è ancora un tessuto sociale in grado di reagire?
(monsignor Fogliazza): Penso che ci sia veramente bisogno della virtù della Speranza… la nostra gente in troppi ambiti ha ormai un atteggiamento fatalistico che va combattuto. Mi aspetto che i credenti sappiano conciliare la grazia del Signore e la buona volontà.
Siamo i concittadini della Cabrini, facciamo tesoro del fatto che ci è stata consegnata una testimonianza come la sua e svisceriamo il messaggio di questa donna che ha rivoluzionato l’America.
Per rispondere dico che il tessuto sociale è fortunatamente tenuto in piedi dalla famiglia, una istituzione ancora molto importante. Anche i numeri segnano una ripresa dei matrimoni e colgo il desiderio di stabilità anche in molte coppie che convivono.

(don Leva): Senza entrare nei casi specifici, comunque di natura completamente diversa, direi che il caso dell’omicidio Girati ha scosso veramente la città la quale ha espresso tutta la sua solidarietà.
Se vogliamo parlare in generale di tessuto sociale in relazione alle questioni che attengono alla giustizia, beh… fatemelo dire, non è proprio una virtù nella quale eccelliamo noi italiani. Eppure è proprio uno dei temi sui quali anche la Chiesa deve richiamare l’attenzione per essere a fianco di chi subisce le prepotenze, per dare speranza.
Sto parlando di vita quotidiana, di lavoro nero, di affitti irregolari, di convivenza condominiale, insomma di tutte quelle situazioni dove la disonestà viene interpretata come semplice furbizia, dove i prepotenti hanno la meglio.

Siamo in un Paese che si definisce cattolico, e che sui simboli del cattolicesimo, il crocifisso prima di tutto, fa le sue battaglie. Ma lo siamo veramente? Com’è la situazione a Sant’Angelo?
(monsignor Fogliazza): I praticanti sono stimati nel 30% circa della popolazione. Sono ormai la minoranza le persone che pensano che la fede possa essere una guida per la propria vita, nonostante del crocifisso si parli molto. Per me è importante dove sia appeso, ma più importante è il ruolo che gioca nella vita di ciascuno.
(don Leva): C’è indubbiamente un calo nella vita religiosa ma questo può rappresentare una opportunità per la Chiesa cattolica che comunque raccoglie ancora la fiducia della gente. Chi frequenta prende sul serio il cristianesimo, al di là della tradizione. Mi pare sia ancora un bel segnale la rete di solidarietà delle nostre famiglie, che pur muovendosi in un tessuto disgregato, danno esempi di fraternità.
Poi sul crocifisso come simbolo direi che la sua difesa non deve essere fatta in nome di una supposta maggioranza che oggi c’è e domani chissà, ma è importante che i cristiani rispettino il crocifisso per quello che rappresenta veramente. Solo così sarà rispettato anche dagli altri. E se poi lo appendiamo in tutti gli ambienti… allora ricordiamoci di ispirare ad esso anche i nostri comportamenti.

(Forum condotto da Giancarlo Belloni, Gabriella Bracchi, Lorenzo Rinaldi, Antonio Saletta)

 


Monsignor Gianfranco Fogliazza


don Pierluigi Leva

“Il caso dell’omicidio Girati ha scosso
veramente la città, la quale ha
espresso tutta la sua solidarietà”



“È importante che i cristiani rispettino il crocifisso per quello che rappresenta veramente”