Una bella storia di altruismo e coraggio

25 Aprile - anniversario della Liberazione

Il rischioso aiuto ai prigionieri inglesi.


Siamo rimaste in due a ricordare quei tempi che, seppur difficili, ci hanno offerto la possibilità di conoscere e aiutare persone meritevoli”. Inizia così la lunga lettera che Rachele e Maria Brunetti hanno indirizzato a Tim Lewis il 4 febbraio 2008. Tim è il figlio di John Lewis, uno dei tre soldati inglesi che tra il 1943 e il 1944 la famiglia Brunetti ha tenuto nascosti nel proprio caseggiato di via Cavour a Sant’Angelo per salvarli dalle retate tedesche.
Utilizzando ampi stralci della lettera, che ripercorre con grande lucidità quanto avvenne durante la guerra, “Il Ponte” regala ai suoi lettori, in occasione del 25 Aprile, una bella storia di altruismo, coraggio e pietà umana.
Prima di dare spazio al manoscritto delle sorelle Brunetti occorre inquadrare la situazione, e dunque è necessario tornare con la mente al 1943, durante la seconda guerra mondiale. A quel tempo la famiglia Brunetti era composta dal nonno materno Bonifacio Zanaboni, chiamato “Fassi”, originario di Gromo in Val Seriana; dallo zio Giovanni Zanaboni, ferito durante la prima guerra mondiale sul monte Cimone mentre aiutava un commilitone; dalla zia Peppina Zanaboni, da Nilde Zanaboni e dalle tre sue figlie, Maria, Rachele e Rita. La famiglia “allargata”, che abitava in via Cavour, aveva un allevamento di maiali e produceva formaggi e burro.


La prima lettera inviata da Tim Lewis alle sorelle Brunetti nel dicembre 2007,
per avere notizie sulla vita del padre in Italia.


Nello stesso periodo nelle campagne lodigiane vivevano decine di soldati inglesi, prigionieri di guerra dei tedeschi, che avevano una guarnigione stanziata a Graffignana e un presidio a Sant’Angelo. I prigionieri lavoravano nelle aziende agricole, impegnati nei campi al fianco dei contadini. Ma dall’8 settembre 1943 la loro posizione cambiò: l’Italia infatti, dopo la firma dell’armistizio, non era più alleata della Germania, i cui militari erano però ancora in forze nella pianura Padana. E i prigionieri inglesi erano terrorizzati dall’ipotesi di essere consegnati ai tedeschi e finire nei campi di concentramento. Era stata addirittura fissata una taglia per gli italiani che avessero consegnato dei prigionieri inglesi, resa pubblica attraverso manifesti affissi sui muri dei paesi. In questo clima di paura i soldati inglesi cercarono di sfuggire ai tedeschi. Aiutati anche da alcuni sacerdoti (a Sant’Angelo da don Nicola De Martino e don Sandro Beccaria) trovarono così rifugio presso molti agricoltori, che misero a repentaglio la loro stessa vita per proteggere questi giovani. Tre di loro trovarono ospitalità da un agricoltore di Bargano, che li nascose in una “casotta” lungo il Lambro. I tre inglesi erano John Lewis di Cardiff, Federic Keating di Manchester e un giovane di Liverpool, di cui si sono perse le tracce ma che veniva chiamato Edoardo. La “casotta” si rivelò ben presto un rifugio provvisorio, nel quale i prigionieri non potevano certo passare l’inverno. E così, per interessamento di don Nicola de Martino, arrivarono a Sant’Angelo, in via Cavour, nella casa delle sorelle Brunetti, che già si erano prodigate per aiutarli durante le settimane passate lungo il Lambro a Bargano.
Il seguito del racconto è affidato alla memoria diretta di Rachele e Maria, che nella lettera dello scorso febbraio svelano a Tim Lewis come andarono effettivamente le cose sessant’anni fa. “Ai primi giorni del mese di ottobre 1943 - scrivono le sorelle - quando incominciava a fare freddo, non era più possibile lasciarli fuori, e così abbiamo deciso di portarli a casa nostra. Qui sono stati fino all’11 febbraio 1944, giorno in cui abbiamo avuto in casa la pattuglia tedesca. Avevamo allora una casa molto grande, con due porte di uscita. Una di queste dava sul cortile, da dove sono entrati i tedeschi e l’altra dava sulla parte opposta, da dove siamo riusciti a mettere in salvo John e i suoi due amici”.
Il racconto della fuga dei tre inglesi è rocambolesco, e dalla lettera delle sorelle Brunetti traspare la tensione di quella notte. “Quando abbiamo avuto la visita dei militari tedeschi, che erano in cerca dei soldati inglesi - scrivono - prima di aprire la porta di casa, su cui i tedeschi battevano le baionette, abbiamo messo in salvo i tre prigionieri che, raggiunta la strada provinciale, arrivarono nella casa dell’agricoltore dal quale avevano lavorato durante i mesi di prigionia”. Anche dopo la fuga, la famiglia Brunetti continuò a interessarsi ai tre inglesi, prendendo accordi con i partigiani di Lodi per portare i tre soldati in Svizzera, stato neutrale. “Con l’aiuto di amici comuni - scrivono Rachele e Maria - abbiamo fissato l’appuntamento a Lodi per la sera, per consegnare ai capi dell’organizzazione partigiana i tre giovani. Purtroppo però gli organizzatori erano stati spiati dai fascisti al loro rientro dalla Svizzera, dove avevano portato in libertà altri militari che non volevano collaborare con i tedeschi e con i fascisti italiani. Così, scoperte queste persone, è stato facile catturare subito dopo la consegna ai patrioti Meazzi e Archinti i tre soldati inglesi. Noi ci siamo salvate per miracolo. I tedeschi avevano spedito subito in Germania John, Federic ed Edoardo, però essendo bombardata la frontiera sono stati fermati sul confine, da dove John è riuscito a mandarci sue notizie con uno scritto tramite un italiano. Sulla cartolina si era firmato “Luigi”, che corrispondeva a Lewis (il suo cognome, ndr). Per fortuna - concludono le sorelle Brunetti - ormai la liberazione, perciò la fine della guerra, erano vicine e i patrioti italiani scesi dalle montagne riuscivano a cacciare le ultime formazioni tedesche e fasciste. Nel contempo, le forze alleate arrivarono in Alta Italia e i tre soldati inglesi furono salvi e poterono tornare a casa”. Alla famiglia Brunetti l’esercito di Sua Maestà offrì una lauta ricompensa, che però venne rifiutata. “Dicemmo loro che avevamo fatto solo il nostro dovere, quello che ci aveva dettato il cuore”, ricordano Rachele e Maria. Che stringono tra le mani, con tanto affetto, la lettera arrivata da Cardiff nel dicembre 2007. È Tim Lewis che scrive, per sapere cosa successe esattamente al padre durante i mesi trascorsi in Italia e per ringraziare, di cuore, le sorelle Brunetti.
Lorenzo Rinaldi