L’amore per la natura di Giovanni Giuseppe Bellani

Intervista al santangiolino fotografo, naturalista e zoologo

I viaggi in Africa, i libri pubblicati con la Mondadori, ma anche la situazione del Lodigiano, un territorio da difendere


Giovanni Giuseppe Bellani è nato a Sant’Angelo il 30 maggio 1952. Laureato in scienze naturali, fotografa dal 1975. Ha collaborato come fotografo e consulente naturalistico con Oasis, Natura Mundi e con diverse case editrici, tra cui: De Agostini, Fabbri, Rizzoli, Mondadori, Touring club italiano. Ha curato il progetto editoriale e il testo di tre libri scientifico-naturalistici illustrati con sue immagini: “I nidi degli uccelli”, “I grandi mammiferi africani” e “365 giorni nella natura”. La sua firma appare su moltissime pubblicazioni di carattere scientifico e divulgativo. Nel suo archivio ci sono svariati reportage di viaggio con foto naturalistiche dei parchi nazionali e regionali d’Italia, Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Scozia, Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Olanda, Spagna, ex Jugoslavia, Tunisia, Israele, Egitto, Kenya, Venezuela e Turchia. Da sei anni circa abita a Vidardo, dove lo abbiamo incontrato.

Dottor Bellani, come si è sviluppata la sua passione per la natura, tanto da diventare un lavoro?
“Mi sono laureato in scienze naturali a Pavia, ho fatto una tesi in museologia presso il Museo di storia naturale di Milano e quindi ho alternato il lavoro di insegnante nelle scuole medie e nei licei a quello di consulente scientifico del Museo di storia naturale di Novara. Da sempre la natura mi appassiona, non a caso mi sono laureato in scienze naturali per poter fare un lavoro a contatto con l’ambiente e gli animali. Attualmente faccio parte della commissione scientifica dell’Ecomuseo delle terre d’acqua, che fa parte del progetto degli ecomusei piemontesi e precisamente fa capo al Par-co delle lame del Sesia”.

Nella sua vita ha collezionato migliaia di scatti. Che importanza ricopre la fotografia nella sua carriera?
“Mi piace ricordare che sono stato presidente del Club fotografico di Sant’Angelo. Tornando all’aspetto professionale, non facendo ricerca universitaria, per poter stare sul campo, osservare e studiare gli animali, la fotografia naturalistica è stata una buona alternativa. Ma vorrei sottolineare che non fotografo solo animali, ma anche la natura in generale, i paesaggi: i reportage sui parchi naturali lo dimostrano”.


Un moscardino delle nostre campagne e una rana lataste tipica dell'ambiente lodigiano

La sua attività editoriale è degna di nota. Al di la dei prestigiosi “volumoni” pubblicati da Mondadori, lei ha inanellato libri a ripetizione. Qual è il suo ultimo lavoro?
“Si tratta di due calendari illustrati con paesaggi e animali in uscita nel 2009”.

Quando è iniziata la sua lunga carriera editoriale?
“Già prima della laurea. Il libro “Cervi, antilopi e bisonti” infatti è nato mentre stavo facendo la tesi di laurea al Museo di storia naturale di Milano e, in quel contesto, ho conosciuto il curatore della sezione dei mammiferi”.

La sua opera meglio riuscita?
“Direi “I grandi mammiferi africani”, edito da Mondatori. Non a caso sono stato più volte in Kenya, in Tunisia e in altre zone dell’Africa. Inoltre al Museo di Novara c’è una collezione di mammiferi africani realizzata da esploratori dell’Ottocento, che ho riclassificato”.

Fotografo, consulente naturalistico, ma anche viaggiatore: il suo curriculum conta migliaia di chilometri. Qual è stata la prima avventura fuori dall’Italia?
“Sono stato mandato dalla Rizzoli in Camargue per curare una sezione del libro “Le meraviglie della natura”. Uno degli ultimi viaggi più importanti invece è stato in Israele. Ma la mia passione è l’Africa”.

Allora parliamone subito.
“Iniziamo col dire che l’immaginario della savana, al quale molti sono abituati, è assolutamente parziale. L’Africa è un miscuglio di realtà diverse, un mosaico straordinario che va dal Mediterraneo al Capo di Buona Speranza. In Africa c’è la savana, ma ci sono anche i deserti e le grandi foreste equatoriali. Vorrei aggiungere un’altra cosa”.

Prego.
“Sono un appassionato del Corno d’Africa, il mio rammarico è di non poter andare in Somalia, dove ci sono ecosistemi unici. Ma viaggiare da solo in quei luoghi oggi sarebbe troppo rischioso. Ripensan-do al Kenya, la prima volta che ci sono andato ho beccato un colpo di stato”.

Cosa ricorda del suo primo viaggio in Africa?
“È stato in Tunisia, con un’incursione nel Sahara: il deserto è molto bello, ricchissimo di vita al contrario di quanto si pensi. Ci sono specie sconosciute e grossi animali: a parte il dromedario penso a certi antilopi che vivono esclusivamente li”.

Passiamo all’Italia.
“Tra le varie consulenze, ho collaborato con la Guardia forestale per l’allestimento del Museo del cervo sardo nella foresta dei “sette fratelli” vicino a Cagliari. Mi sono occupato anche di ripristino ambientale lungo il fiume Enza nel Parmense: c’erano vecchie cave che abbiamo trasformato in casse di colmata per accogliere le piene del fiume. E in questo contesto abbiamo ristrutturato un bosco che può sopportare l’allagamento. Quanto alle pubblicazioni, ricordo tra le altre “365 giorni nella natura”, volume uscito nel 2006 per Mondadori: il libro mostra cosa succede nelle quattro stagioni alla fauna e alla flora nei boschi italiani”.

Qual è la zona d’Italia che l’affascina maggiormente?
“Quella mediterranea. Penso alla Sardegna, ma anche alla Corsica, seppur francese. Ma ho visitato anche i grandi parchi naturali, il Gran Paradiso, lo Stelvio, la foresta di Tarvisio al confine tra Italia, Austria e Slovenia, collaborando con il Ministero degli Interni”.

C’è una “sensazione” che lega tutti i suoi viaggi?
“Sono solito pensare che per fortuna la natura è forte e resiste anche agli orrori di certi architetti, oggi i veri imprenditori dei parchi naturali. Ma non nascondo che negli ultimi anni qualcosa è stato fatto, penso al lavoro dei naturalisti di Pavia per proteggere le garzaie dove nidificano gli aironi, che oggi infatti sono tornati nella nostra zona”.

Ha parlato del Pavese, ci dica qualcosa anche del Lodigiano, la sua terra.
“È un ambiente interessante perché è una via di transizione tra la fauna mediterranea e quella europea. Da noi so-pravvivono bene la pernice rossa e il gruccione, un uccello africano, assieme ad una fauna tipicamente nordica. Faccio un altro esempio: abbiamo una specie di rana, la rana lataste, che vive in una zona particolare del mondo, cioè alcuni tratti di Pianura Padana e guarda caso nel Lodigiano è diffusa”.

Come sta il Lodigiano?
“Non sta molto bene, è antropizzato e industrializzato. L’unica cosa che si è salvata sono le aree naturali lungo Adda e Po. Ma in generale in tutta la Bassa Padana non si è salvato molto. Certo, noi lodigiani avremmo una cosa da tutelare, cioè le lanche, ambienti tipici delle pianure fluviali. Sarebbe interessante creare un’oasi alla lanca della Pagnana a Vidardo, dove c’era anche una colonia di aironi guardabuoi che venivano tutte le sere a dormire”.


Particolare della lanca della Pagnana di Castiraga Vidardo

Ci parli ancora della Pagnana, lungo il Lambro.
“Ci sono la cinciallegra, la cinciarella, lo storno, il picchio verde, il picchio rosso maggiore, il martin pescatore, e poi folaghe e gallinelle d’acqua. C’è anche una specie di tartaruga americana che qualcuno ha buttato dentro e si è riprodotta”.

Circola una leggenda metropolitana secondo cui nel Lambro sarebbero tornati i pesci. Eppure le sue acque restano nere come la pece. Lei che idea si è fatto?
“Attorno al Lambro c’è un ambiente naturale, nessuno lo nega. Il fatto che i pesci resistano nelle sue acque però non significa che l’ambiente sia sano. Dicono che i pesci stiano tornando, personalmente ritengo che non stia tornano un bel niente”.

Lorenzo Rinaldi