“Nebbie e... filsòn”

Una tradizione tipicamente santangiolina ormai in via d’estinzione che caratterizzava l’economia del paese nei lunghi mesi invernali.


I viaggi in Piemonte per acquistare i migliori marroni, solo al termine di lunghe tiritere; i pomeriggi sonnacchiosi d’autunno passati attorno alla stufa a infilsà; le fiere e i mercati di mezza Lombardia che permettevano di salvare la stagione, al termine della quale si spaccava sul tavolo la botte piena di quattrini e si spartivano i guadagni.
Immagini antiche di un tempo che fu, ricordi che affiorano alla mente degli anziani e che descrivono l’epopea dei filsòn, le lunghe collane di castagne per cui erano conosciuti in tutto il nord Italia i commercianti barasini.


Filsunè barasini nei primi anni del 1900

Proprio la fine dell’autunno e l’arrivo dei rigori invernali segnavano un tempo, una stagione particolare, quella in cui dopo aver preparato i filsòn con un lungo ed elaborato procedimento, gli abili mercanti lasciavano il Lambro, il Castello, la casa della Santa, e si dirigevano a vendere il loro tesoro. Tra le prime fiere, ad aprire la stagione, quella di Sant’Ambrogio a Milano. Gli “Oh bei! Oh bei!” costituiva un banco di prova per l’intera annata, ma anche un’occasione ghiotta per vendere una mercanzia unica nel suo genere.


La vendita dei filsòn con Luigi Manenti, recentemente scomparso, uno degli ultimi storici filsunè

E poi, passato il Natale, la festa di San Bassiano a Lodi, dove fra la trippa fumante e le bancarelle dei dolciumi non potevano mancare i filsunè santangiolini, che arrivavano di buon mattino con le scorbe colme di filsòn e la sera “levavano le tende” cun le sacòce piène de danè.
Il mondo dei filsòn, attorno al quale ruotava una vera e propria economia e che impegnava, seppur per una stagione, decine di persone, è destinato a restare un dolce ricordo.
Una memoria ovattata, come la nebbia che avvolgeva piazza della Vittoria a Lodi la sera di San Basàn, quando le bancarelle sfavillanti di luci facevano la gioia di grandi e piccini.
Ad oggi a Sant’Angelo restano una manciata di famiglie ancora impegnate nell’arte dei filsòn: si possono contare sulle dita di una mano. Sono loro a tramandare un rito antico, nobilitato dalla sua semplicità, da gesti rituali ma mai scontati e dalla fatica delle madri e delle figlie per infilsà le mi-gliori castagne piemontesi, con aghi lunghi e temprati.
Una ad una, alla luce flebile dei tardi pomeriggi d’autunno.
Lorenzo Rinaldi