Il museo dell’agricoltura rischia di andare a Milano

Dopo la chiusura del castello, un’altra cattiva notizia per i nostri beni culturali


C’era da aspettarselo, la chiusura del Castello rischia di avere conseguenze negative a catena. La prima, e per il momento la più preoccupante, non si è fatta attendere. Il consiglio direttivo del museo dell’agricoltura, l’esposizione che da anni è ospitata nell’ala nord del Bolognini, ha preso in esame l’ipotesi di trasferire tutto il materiale espositivo in una cascina del Milanese. Non è ancora detta l’ultima parola, ma le prime conferme da parte dei vertici del museo hanno fatto scattare l’allarme tra quei santangiolini che guardano con attenzione al patrimonio culturale della propria città.
Vediamo dunque cosa potrebbe succedere al museo dell’agricoltura che, lo ricordiamo, è legato alla facoltà di agraria dell’Università di Milano. Nel corso di un recente incontro del consiglio direttivo del museo, che si è tenuto a Milano, è stata affrontata l’ipotesi del suo trasferimento nel Milanese.
Il capoluogo lombardo è in corsa per aggiudicarsi il grandioso Expo 2015, un appuntamento di carattere internazionale che muoverebbe decine di milioni di euro. Proprio in questo contesto potrebbe avvenire il trasferimento del museo, grazie a fondi pubblici necessari per sistemare il cascinale individuato come nuova sede.
Uno dei pilastri dell’esposizione agricola barasina, il professor Gaetano Forni, alcuni giorni fa ha dichiarato che il trasferimento a Milano sarebbe la conseguenza di una prolungata chiusura della sede attuale, cioè del Castello di Sant’Angelo.



Per il momento nulla è compromesso, e non ci risulta siano state prese decisioni ufficiali, ma il “rischio Milano” dovrebbe spronare chi di dovere a trovare una veloce soluzione per riaprire al più presto il Bolognini e i suoi musei. Spinge in questa direzione la Regione Lombardia che, attraverso il suo presidio di Lodi, sta lavorando per cercare un punto di incontro tra la Fondazione Bolognini e le istituzioni del territorio, Comune di Sant’Angelo e Provincia di Lodi in primo luogo. L’obiettivo è unire le forze e individuare un percorso comune per riuscire a riaprire il Bolognini, oggi impantanato nelle paludi della burocrazia romana, dove vengono prese le decisioni più importanti sul suo futuro.
Il problema di fondo sembra essere economico: i lavori al Castello, secondo il Cra (Centro ricerche da cui dipende la Fondazione Bolognini), costerebbero almeno 15 milioni di euro. Chi li può pagare? E c’è anche una seconda domanda: non sarebbe possibile, per il momento, aprire solo una parte del Bolognini (quella con minori problemi strutturali) in attesa di avviare i lavori più importanti?
Intanto è tornato sul problema economico anche l’assessore provinciale alla cultura Mauro Soldati, direttamente interessato alla vicenda visto che il Castello è una delle perle architettoniche del Lodigiano. Soldati ha chiarito che non basterebbe l’avvio della cava della Fondazione per poter riaprire il Bolognini. Un intervento duro, che affonda le sue radici nella polemica tra Fondazione e Provincia in merito ad una cava sul Lambro, di proprietà della prima, che la Provincia ha bloccato ricorrendo al Tar. Quella cava, da cui secondo la Fondazione sarebbero dovute arrivare 300mila euro, non era prevista nel Piano cave provinciale, lo strumento che disciplina l’attività estrattiva nel Lodigiano. E di fronte ai 15 milioni che servirebbero per sistemare il Castello - ha obiettato Soldati - il brodino di quei 300mila non avrebbe comunque avuto effetti di-rompenti. Non sappiamo chi abbia ragione, la speranza è che il Bolognini possa presto riaprire i battenti.
Lorenzo Rinaldi