Tre mesi in Kenya, tra ricchezza e povertà

Massimo Ramaioli, 24 anni, è laureato in Scienze Politiche ed ha passato tre mesi in Kenya, al consolato italiano di Nairobi. Al ritorno ha accettato di raccontare un paese, il Kenya, tra i più affascinanti del continente nero

“Avevo una fattoria sugli altopiani del Ngong”: così inizia quello che forse è il più famoso romanzo ambientato in Africa, “La mia Africa” di Karen Blixen.

Le colline del Ngong sono una serie di dolci pendii che si susseguono per decine di chilometri ad ovest di Nairobi, capitale del Kenya: i versanti occidentali precipitano per quasi mille metri nella Grande Valle del Rift. Il paesaggio Keniano è dominato da questo stupefacente spettacolo geologico. Ma la Grande Valle del Rift e le colline del Ngong sono, a ben vedere, un punto di vista privilegiato per osservare anche la storia del Kenya: la bellezza e la fertilità delle terre che da Nairobi lo costeggiano è tale che i colonizzatori inglesi le ribattezzarono “White Highlands”, dato che i verdi altopiani ricordavano i celebri rilievi scozzesi. A mi-gliaia giunsero dalla Gran Bretagna, e non solo, per costruirvi fattorie, insediamenti, piantagioni. Dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1962 sono rimasti pochi bianchi nel paese. Il Kenya si è incamminato sul sentiero del cosiddetto sviluppo. Ma come nel resto dell’Africa, i paradossi e le situazioni di estrema povertà restano di stretta attualità.

Massimo Ramaioli

Forse perché ancor oggi, prima di sentirsi Keniani ci si sente legati alla propria etnia. Forse perché la classe politica, corrotta e inetta quando non addirittura illiberale non riesce a governare con onestà venendo ripetutamente coinvolta in scandali che dilapidano le risorse nazionali. Forse perché quello che i paesi occidentali potrebbero fare (al di là degli aiuti, gioverebbero e non poco eque regole sul commercio internazionale dei prodotti agricoli di cui il Kenya è grande esportatore, come the, caffè, floricoltura) è subordinato ad altre priorità. Sta di fatto che il Kenya ha a che fare con dinamiche interne ed esterne cui non riesce a far fronte adeguatamente. A livello interno, aumento incontrollato della popolazione, che sfiora oggi i 40 milioni di abitanti (erano 25 a fine anni Ottanta), degrado ambientale e deforestazione, Aids, cicliche crisi legate a carestie o siccità. A livello esterno, vicinanza con paesi in perenne crisi istituzionale, come la Somalia: tutto il territorio di confine tra i due paesi è in mano a bande di malviventi, le armi entrano in Kenya senza nessun controllo, e si riversano nelle baraccopoli di Nairobi, le più grandi dell’Africa, dove la gente dalle campagne si trasferisce in cerca di fortuna.

Milioni di esseri umani ammassati in baracche di lamiera, vicinissimi eppure lontani da un centro città in cui svettano grattacieli di vetro e uffici ultramoderni, vicinissimi eppure lontani dai ricchi quartieri residenziali dove ville da favola sono im-merse nel verde lussureggiante di questa città.

Il Kenya rimane un paese potenzialmente ricco, dove le piogge, specie nel sud del paese, sono abbondanti e regolari, dove il clima aiuta la coltivazione, dove vi sono alcune infrastrutture (lascito degli inglesi) su cui varrebbe la pena di investire.

Infine va citato il turismo: “un’arca di Noè a cielo aperto”, così si potrebbe descrivere l’immenso patrimonio naturalistico che si può ammirare nelle decine di parchi e riserve nazionali.

Massimo Ramaioli