Cento anni fa la grande alluvione
L'inondazione che il 15 maggio 1905 distrusse il Mulino

La primavera del 1905 fu particolarmente piovosa, specie nel Nord d'Italia, e in varie parti del Paese i fiumi ruppero gli argini causando una grande alluvione.
Anche il Lambro fece la sua parte al punto che Sant'Angelo, fra i luoghi più danneggiati, si meritò la copertina della Domenica del Corriere in seguito alla distruzione dell'impianto idro-elettrico Origoni, situato in via Molino.
Ma andiamo con ordine, ricorrendo, per la ricostruzione degli eventi, al volume a cura di Cesare Cella e Marco Danelli, che i Vigili del Fuoco di Sant'Angelo pubblicarono nel 1991 in occasione del loro centenario.

La cronaca del disastro

Giovanbattista e Giuseppe Origoni, due ingegneri milanesi, nel 1904 acquistarono il Mulino Grande di Sant'Angelo, posto sulle rive del Lambro Meridionale, al fine di trasformarlo in un impianto di produzione di energia elettrica.
L'acqua del fiume che prima muoveva le pale del mulino per macinare il grano, avrebbe ora alimentato le turbine idrauliche dello stabilimento per creare l'elettricità nel nostro territorio.
Al fine di rendere l'impianto più produttivo, fu costruito un canale a fianco del fiume per raccoglierne le acque e sopperire ai periodi di magra. Tale canale era diviso dal fiume da una parete di terreno sabbioso.
Nel maggio del 1905, quando i lavori di ristrutturazione erano ormai ultimati, sulla Lombardia e sul Veneto si abbatterono piogge incessanti che ingrossarono tutti i corsi d'acqua.
Le acque del Lambro Meridionale salirono e premettero sempre di più sulla parete che divideva il bacino artificiale dal fiume. La mattina del 15 maggio, alle 4.30, a causa di una falla prodottasi nel terreno friabile della parete, la forza delle acque ebbe la meglio. La parete artificiale fu travolta e il fiume esondò violentemente inondando alcuni caseggiati del Mulino Grande che si trovavano sulla riva.
Nella officina Origoni gli operai che lavoravano al turno di notte si accorsero immediatamente di quanto stava accadendo. Riuscirono a dare l'allarme permettendo a tutti gli abitanti delle case di salvarsi. Appena in tempo: molte abitazioni, travolte dalla furia delle acque, si sfasciarono qualche istante più tardi.
Il corso del fiume non si riconosceva più, tutta la zona era ora coperta dall'acqua, e l'opificio Origoni si ergeva, isolato, in mezzo ad essa.
Sotto la pioggia torrenziale iniziò il lavoro dei pompieri, alla ricerca di persone da salvare e nel tentativo di recuperare dal fiume ciò che era possibile: attrezzi da lavoro, carri, mobili, botti e quant'altro la forza del fiume aveva strappato agli uomini. Ma non era ancora finita… verso le 11,00 il fiume si prese ancora un'ala del fabbricato Origoni trascinando con sè una pesantissima dinamo.
La ricostruzione dei nostri Vigili del Fuoco si conclude con la stima dei danni.
Ecco le conclusioni: "L'opera distruttrice delle acque inondò i campi circostanti annientando le speranze del primo raccolto (…). Vari caseggiati adibiti a mulino e abitazioni e, in parte, occupati dal nuovo stabilimento idro-elettrico non esistevano più; moltissime persone erano rimaste sul lastrico e senza abitazione per le loro famiglie numerose; l'impianto idro-elettrico, fonte di utile non indifferente e di occupazione per un buon numero di operai, era stato interamente ingoiato dalle acque vorticose. La quantificazione dei danni nella zona sinistrata fu un'impresa molto ardua: si ipotizzò la cifra di lire 250.000".

La risonanza sulla stampa

I fatti ebbero ampia risonanza sulla stampa. La Domenica del Corriere, il settimanale più popolare d'Italia, chiese al suo mitico illustratore Achille Beltrame di preparare la tavola per la copertina del 28 maggio 1905 (anno VII, n. 22). Il quadro (tali erano i disegni di Beltrame), ricco di movimento, di particolari e con una linea pulitissima, racconta con efficace sintesi lo sgomento davanti alla distruzione e la reazione attiva dei soccorsi.

Sopra: Un'immagine del disastro.
Sotto: La copertina de "La Domenica del Corriere" con il disegno di Achhille Beltrame

Il giornale accompagnò l'illustrazione con il seguente testo: "Le piogge continue, incessanti e copiose dei giorni andati - così copiose che gli osservatori non ricordano un maggio peggiore: qualcosa come 300 mm d'acqua! - ha (sic) gonfiato fiumi e canali d'Italia in guisa che, specialmente nel settentrione, andarono sommerse campagne a perdita d'occhio, caddero ponti e case, si squarciarono strade ecc. I danni sono enormi, incalcolabili per perdite di raccolti e di manufatti, alcuni fiumi avendo rotto gli argini.(…) Fra i paesi più danneggiati è Sant'Angelo Lodigiano, non lungi da Lodi, sul fiume Lambro che si gonfiò e ruppe l'argine demolendo e in-ghiottendo il vasto stabilimento idroelettrico Origoni con annesso mulino, oltre ad abbattere diverse case. Il nostro disegno a colori ritrae appunto i danni dell'inondazione a Sant'Angelo".

Gli strani fenomeni luminosi

L'eco delle vicende legate all'ex mulino di Sant'Angelo non si concluse in quei piovosi giorni di maggio. Singolare fu l'articolo apparso, più di un anno dopo, il 13 agosto 1906 sul quotidiano genovese Il Secolo XIX nel quale si racconta di strani fenomeni luminosi e si dà un giudizio a dir poco superficiale, delle nostre bisnonne… "Il molino delle disgrazie. Sant'Angelo Lodigiano. L'ingegnere milanese Giuseppe Origoni, acquistato il molino del Lambro, lo trasformava nel 1904 in una importante stazione generatrice di energia elettrica; però nel maggio 1905 una piena enorme danneggiava grandemente il fabbricato e di poi avvennero di seguito parecchie disgrazie di cui rimasero vittima alcuni operai. Il popolino battezzò allora la stazione elettrica col nome di Molino delle disgrazie e il nome punto allegro rimase mentre poco a poco le donnicciuole andavano spargendo la voce che nell'antico molino "ci si sentiva" e che era di notte abitato dagli spiriti. Per combinazione poi, da qualche sera a questa parte, per non so quale fenomeno di corto circuito od altro, fra l'aggrovigliamento dei fili che portano dall'officina per varie direzioni, a brevi intermittenze si accendono delle fiamme bleu di intenso chiarore. Le donnicciuole che dalle loro abitazioni vedono le fiammate, si fanno in fretta il segno della croce, spaurite, reputandole un segno di corrispondenza fra l'altro e questo povero mondo. Tocca ora ai dirigenti l'officina elettrica a togliere di mezzo la causa, certo di minima importanza, produttrice delle scintille che alimentano la superstiziosa paura delle donnette e dei poveri di spirito".

Il rischio attuale di esondazioni

L'alluvione del 1905 coinvolse, in modo così devastante, il Lambro Meridionale. Non è però questo il ramo più pericoloso del fiume. E' il cosiddetto Lambro vivo, il Lambro Settentrionale ad impensierire di più.
Il rischio di esondazione interessa l'intero suo corso e preoccupa sia l'intensità delle piene che la frequenza (l'analisi delle inondazioni del Lambro negli ultimi cent'anni evidenzia fenomeni abbastanza importanti mediamente ogni sei anni).
In caso di grandi precipitazioni la conformazione dell'alveo nel tratto montano e collinare, con pareti di roccia piuttosto impermeabili, ha l'effetto di produrre piene violente a causa della velocità della corrente.
A rischio sono i restringimenti del fiume dovuti ad anse naturali o gli attraversamenti. In pianura le cose vanno meglio dal punto di vista geologico: la velocità della corrente si riduce grazie alla permeabilità del terreno di natura alluvionale e all'assenza di importanti affluenti. Il pericolo viene dal restringimento del letto per i detriti naturali e i rifiuti presenti nel fiume nonché dall'alta densità abitativa ed industriale.
Non a caso è proprio il tratto compreso fra Monza e Melegnano quella che storicamente ha registrato le piene più dannose.
Per quel che ci riguarda, la posizione relativamente alta di Sant'Angelo ci mette un po' al riparo, pur non esentando dai danni la nostra zona: ricordiamo che l'ultima piena, nel novembre 2002, ha distrutto la ponticella che collegava Vidardo a Domodossola.

Giancarlo Belloni

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